STORIA DI SAN PELINO… Famiglie sampelinesi nel sec. XVIII

Testi tratti dal libro La Comunità Sampelinese nell’800
(Testi a cura di Pasquale Fracassi)

Fino alla meta del XVIII secolo, non si registrano variazioni sostanziali nel quadro demografico sampelinese. La dimensione del paese rimane sempre piccola e il contesto sociale inalterato. Cambia qualche cognome. Scomparsi i Colamarice, i Melchiorri, i Janni, i Maria, i Galista e i Colangelo, la cui presenza era attestata dagli atti del notaio antrosanese Gatti, e scomparsi gli Ottaviani, i Colletta, i Di Giovanni e i Berardino di cui ci parlano le carte depositate presso l’archivio diocesano dei Marsi, vediamo presenti al loro posto i D’Alessandro, i D’Apollonio, i Di Gio:Antonio, i Candeloro e i Santarelli di cui ci parlano i nuovi documenti delle cronache locali.

La continuità demografica dall’uno all’altro secolo e rappresentata dai Fracassi, dai Iacovitti e dai Vitelli, che restano i casati di più antica tradizione, nonche dai Collacciani, dai Malagisi, dai D’Apollonio, dai Vespasiani, dai Di Loreto e dai Di Felice che nel frattempo si sono radicati nel paese.
Nel 1720 il quadro demografico che emerge dalle fonti e abbastanza dettagliato. A costituire il ceto sociale del paese e il seguente piccolo gruppo di famiglie: i Fracassi, che, come si e gia detto, si presentano ora articolati in due filoni paralleli che fanno capo ai due figli di Leonardo: Giuseppe e Ignazio, e che stanno per diramarsi ulteriormente in corrispondenza dei nipoti di costoro: Stefano Antonio, Gio: Antonio e Marco Antonio, dal lato di Giuseppe, nonche Giovanni e un nuovo Ignazio dal lato di Ignazio; i Collacciani, che si dividono anch’essi in due tronconi in corrispondenza dei due figli che ebbe Berardino: Carlo (1677-1724) e Costantino, quest’ultimo nato nel 1683; i Iacovitti, che, nonostante l’affollarsi di nomi e di famiglie che si rileva nel secolo precedente, proseguono lo sviluppo genealogico attraverso il solo Pietro Carlo(1636 1708) che era figlio di Lucio, e il figlio suo: Giuseppe (1668-1754); i Vitelli, che, caso unico tra le famiglie del paese, continuano a svilupparsi soltanto in linea retta e cioè senza dividersi in più rami e proseguono la dinastia attraverso un tale Pasquale, figlio di secondo letto di Gio:Angelo, e il figlio di costui, Gilberto o Giliberto, nonché il figlio di quest’ultimo, Gioacchino (1715-1759); i Di Loreto, che proseguono la dinastia attraverso il chierico Loreto Di Loreto, detto anche “Del Zoppo”(1684 1738), figlio un po’ irrequieto dell’ottimo Gio: Pietro, e il figlio di costui: Gio: Tommaso (1722 1806); i Di Felice, che continuano ad essere la famiglia del parroco, dacché al vecchio “Ieronimo curato” e subentrato il figlio Gio: Battista; e poi i Blasetti, i D’Alessandro, i Malagisi e i Vespasiani.

Sempre in questo periodo, fanno anche parte della comunità sampelinese: i D’Apollonio, con Loreto D’Apollonio che e il pubblico balivo del paese; i Santarelli, con Giuseppe Santarelli che aveva sposato Maria Maddalena Malagisi, e, inoltre, i Candeloro e i Di Gio: Antonio, con Giacomo Candeloro e con Bartolomeo Di Gio: Antonio, che vediamo intervenire in qualità di testimoni in una annosa causa di cui si parlerà più avanti tra il chierico Santo Fracassi e Vittoria Di Felice. Intorno agli anni ’30 venne a stabilirsi nel paese il giovane Domenico Antonio D’Agostino che, originario di S.Eugenia, dove era nato verso il 1710, porto seco anche la madre chiamata Francesca e forse la moglie, Domenica, che era nativa delle Forme. E’ solo la prima delle due famiglie omonime oggi presenti nel paese. La seconda, che invece era originaria di Albe, vi si e trasferita circa cinquant’anni dopo.

Nel 1742, il quadro sociale del paese e reso ancora più dettagliato dalla redazione del catasto onciario dell’università sampelinese. Da questo si evidenzia che, intese come casato e dunque come cognome, le famiglie sono in tutto 11 e sono le stesse di cui sopra meno i Santarelli, i Candeloro e i Di Gio:Antonio che nel frattempo si erano gia estinti o trasferiti, e meno i D’Apollonio che, pur continuando ad essere la famiglia del pubblico balivo del paese, non risultano più essere residenti a S.Pelino; intese come fuochi, invece, sono in tutto 16 e corrispondono a cento abitanti esatti. Il rapporto di composizione sottolinea il peso dei Fracassi poiché da soli, con 4 fuochi e 31 componenti, essi erano un terzo o quasi della popolazione del paese. In seconda posizione erano i Collacciani, che avevano 3 fuochi e 15 componenti, e poi via via seguivano tutti gli altri che avevano un sol fuoco per ciascuno e un numero di componenti vario che andava dagli 11 dei Vespasiani ai 3 dei Malagisi e dei Vitelli. Messi insieme, dunque, i due casati dei Fracassi e dei Collacciani, che erano tra di loro imparentati perché entrambi discendenti da Leonardo Fracassi, rappresentavano la meta o quasi dei fuochi e della popolazione. Sicché se il paese avesse preso il nome di Casale Fracassi non ci sarebbe stato nulla da ridire.

Nella seconda meta del secolo si vivacizza il movimento immigratorio e si registra l’insediamento delle seguenti famiglie nuove: Arcieri Domenicantonio, da Cerchio: sposo Maria Felicia Vitelli nel 1770; Di Cosimo Carmine, da Antrosano: sposo Agata Vitelli del fu Giacinto nel 1796; D’Amore Paolo, da Avezzano: si stabili a S.Pelino con la moglie, di cui non si conosce il nome, intorno al 1778; D’Eugenio Giuseppe del fu Antonio, da Introdacqua: sposo Maddalena Paolina Fracassi di Pasquale nel 1775; Di Pasquale Giovanni, da Forme: si stabili a S.Pelino con la moglie Palma Ottaviani nel 1778 circa; Di Genova Antonio del fu Felice, da Sulmona: sposo Anna Veneranda Montagliani nel 1797; D’Agostino Serafino del fu Giovanni, da Albe: sposo Benedetta Vitelli nel 1782; Felli Luigi del fu Pasquale, da Celano: sposo Maria Vittoria D’Alessandro nel 1771; Boleo Felice di Antonio, nato ad Antrosano nel 1765: sposo Marta Maria Di Felice nel 1799. La sua famiglia era originaria di Torre dei Passeri, paese natale del padre; Boleo Luigi, fratello del primo: si stabili a S.Pelino con la moglie Celeste Ruscitti del fu Francesco; Caporale Natale, da Avezzano: sposo Angela Collacciani del fu Enrico nel 1779; Capoccetti Gesualdo, da Antrosano: sposo Luisa Iacovitti del fu Carlantonio nel 1776; Montagliani Pietro, da Celano: sposo Angelica Vitelli nel 1775; Marcone Gio:Berardino, da Villa di Borgo Colle Fegato: sposo Maria Lorenza Fracassi nel 1784; Panetta Germano del fu Costanzo, da Corona; sposo Margherita Collacciani nel 1794; Ruscitti Pietrantonio, del fu Francesco da Antrosano: sposo Maria D’Agostino nel 1789; Paliani Alessio da Sambuci (ma il suo vero nome era Marco Ciavarella): sposo Candida D’Agostino di Ottaviano nel 1800; Lanciani Baldassarre, da Pentima (Corfinio): dottore in utroque iure, si stabili a S.Felino verso il 1760 circa, portando seco la moglie Lucrezia De Mattheis e la cognata Candida De Mattheis, native di Bussi. Sposo, in seconde nozze, donna Cecilia Pace di Antrosano.

L’occasione più favorevole ai nuovi insediamenti e sempre rappresentata dai matrimoni con le donne del paese. Fa eccezione il caso di Baldassarre Lanciani, dottore nei due diritti, poiché nei suoi confronti non si conoscono i motivi che lo indussero a lasciare Pentima con tutta la famiglia per trasferirsi a S.Pelino. Tra le eccezioni si segnala anche il caso di Alessio Paliani che di motivi per lasciare il suo paese ne aveva invece di abbondanti e seri perche, avendo commesso un omicidio nel suo paese natale, aveva bisogno di sparire, per un po’ almeno, dalla circolazione e di far perdere le sue tracce. Il suo vero nome era Marco Ciavarella ed era nativo di Sambuci nello stato Fontificio. alfabeta e non privo di istruzione, tant’e che lo vediamo fungere da segretario nelle riunioni del pubblico e general parlamento del paese, venne a S. Pelino nell’ultimo decennio di questo secolo e decise di restarvi. Non sappiamo perché scelse proprio questo tra i tanti possibili paesi presso i quali si sarebbe potuto rifugiare, pero possiamo dire che non vi si trovo male. Il 27 dicembre dell’anno 1800 sposò Candida Leonilde D’Agostino, figlia di Ottaviano, e da lei ebbe una prole numerosa che, pero, essendo tutta di sesso femminile, non gli basto per far radicare il suo cognome nel paese.

Altre eccezioni furono quelle di Luigi Boleo, che praticamente segui l’esempio del fratello Felice, nonché di Paolo D’Amore e di Giovanni Di Pasquale che si trapiantarono di peso, con tutta la famiglia, a S.Pelino. Circa la provenienza delle famiglie nuove, c’e da osservare che il ventaglio delle possibilità si allarga e che l’origine albese o dal contado albese che prima era la fonte pressocche esclusiva del flusso immigratorio lascia ora spazio a nuove soluzioni. Cresce la componente esterna al circondario e il paese si arricchisce di esperienze e di culture nuove. In qualità di parroci, vediamo avvicendarsi presso la badia curata di S.Michele Arcangelo dapprima il chierico Gio:Battista Di Felice, che alla morte del padre Ieronimo gli subentra nell’incarico, e poi l’acolito Giuseppe Iacovitti.

Dal 1759 al 1765, come attesta un documento a firma di Michele Collacciani e Michelangelo Fracassi, nelle rispettive qualità di sindaco e di priore della universita sampelinese(3), esercito la funzione di abate economo presso la medesima badia il rev. don Domenico De Magistris di Sorbo. Negli ultimi decenni, infine, vediamo incaricato del servizio il paternese don Pietro Manduca il quale nel 1783 ebbe anche una lite con i massari della universita di S.Pelino che l’accusavano di avere un costume “men che onesto”(1). Nel 1765 questo don Pietro era gia attivo presso la badia curata del paese e si mise in luce per la propria intraprendenza. Con lui cade in desuetudine il vecchio titolo di curato economo a favore di quello più autorevole di abate e la parrocchia ottiene non sappiamo come dalla casa Colonna di Roma l’assegnazione del benficio di S. Maria di Casanuova e una contribuzione annuale di ducati 45 modeste entrate dell’abate. Mori nel 1812 dopo quasi cinquant’anni di servizio spesi interamente a S. Pelino.

Un particolare interessante e che a nessuno di questi parroci fu conferito anche il titolo di cappellano della S.S.ma Annunziata. A nessuno di essi, cioè, fu dato di cumulare l’una e l’altra carica e, quindi, di aumentare le modeste entrate della chiesa con le rendite di questa piccola cappella che era eretta all’interno della stessa. Ricordiamo a proposito di questa cappella che ad essa era preposto un chierico di nomina vescovile il cui compito era quello di aver cura dell’altare e di dir messa una volta a settimana nel giorno di Sabato.
Per quanto riguarda il titolo di cappellano, vediamo avvicendarsi nell’incarico alcuni personaggi forestieri dei quali si può dire che conosciamo solo il nome. Il primo successore di Ottaviano Fracassi fu un tale don Berardo Giardino al quale segui il chierico paternese don Tomasso Andreetti la cui presentazione al vescovo fu effettuata da Giuseppe e Gio:Andrea Fracassi nel 1680.

Nel 1683, su presentazione dei cugini Francescantonio Fracassi, Gio:Andrea Fracassi e Cosimo Colletta, quest’ultimo in quanto erede di Tarquinio Fracassi, la nomina fu data ad un certo don Stefano Giannantoni di residenza non conosciuta. Nel 1724, su designazione di Paolo e Gio:Antonio Fracassi del fu Francescantonio, fu data ad un certo don Tomasso Fantauzzi di Massa e, alla morte di costui, per designazione di Stefano, Paolo e Gregorio Fracassi, sempre del fu Francescantonio, ad un certo don Pietro Antonio Iucci di Magliano. Quest’ultimo rinuncio l’anno successivo e fu sostituito con don Gaetano Vendetti di Pereto la cui nomina fu pretesa da Luigi Fantauzzi di Massa rnlla sua qualità di erede di Cosimo Colletta. Nel 1752, per designazione di Maurizio, Isidoro e Nicola Fracassi, figli rispettivamente di Marco Antonio i primi due e di Gio:Antonio l’altro, fu nominato cappellano l’avezzanese don Nicolo Martini.

Nel 1762, in seguito alla rinuncia del Martini la nomina fu data dapprima a don Loreto Eliggi di Albe e poi, alla morte di costui, al sampelinese don Antonio Iacovitti. Nel 1820, essendo morto anche il Iacovitti, la nomina passo al curato del paese don Filippo Blasetti sul cui nome convennero due separati ma convergenti atti di designazione: uno da parte di Simplicio, Giovanni e Antonio Fracassi e l’altro da parte di Giovanni e Pietrantonio Iacovitti che erano eredi del fu Angelantonio Fracassi. E cosi, con la nomina del curato don Filippo Blasetti, i due incarichi tornano a riunirsi per la prima volta nella medesima persona dopo la morte di Ottaviano Fracassi e dei suoi primi successori. Tale riunione divenne poi definitiva con il Parroco successivo, don Gabriele Boleo, a conclusione di una vertenza giudiziaria che lo contrappose vittoriosamente al chierico sampelinese Michelangelo Fracassi.

A proposito dei Di Felice, e d’uopo ricordare che essi avevano un rapporto di parentela con i Iacovitti in tutto simile a quello che avevano i Collacciani con i Fracassi. Il loro capostipite, infatti, Ieronimo Di Felice, aveva sposato Prudenza Iacovitti, sorella di Gio: Angelo e cugina di Pietro Carlo Iacovitti. Sicche i suoi figli: il curato Gio:Battista e Filippo Di Felice, erano i cugini di Giuseppe Iacovitti. Sul loro conto abbiamo solo qualche dato anagrafico.Agli inizi del secolo, Filippo Di Felice, fratello del curato Gio: Battista, sposo, in seconde nozze, Marta Fracassi di Pietro Paolo (del fu Giuseppe del fu Leonardo); nel 1730, Domenica Di Felice, figlia di Filippo, sposo Giacinto Vitelli e verso la meta del secolo, Eustachio Di Felice, altro figlio di Filippo, sposo Teresa Fracassi di Pietro Paolo. Infine nel 1760, Gio: Filippo Di Felice sposo Cesidia Vitelli e nel 1799 Marta Maria Di Felice sposo l’antrosanese Felice Boleo, padre del futuro parroco don Gabriele. Niente matrimonio, invece, ma solo liti e discussioni, seguite da denunce e ritorsioni, si ebbero nel tormentato rapporto tra Vittoria Di Felice e Santo Fracassi di cui si parlerà più avanti. E ancora liti e discussioni si ebbero anche tra Zenobio Di Felice, ultimogenito figlio di Filippo, e Laura Antonia Fracassi, vedova del quondam Pietro Paolo Fracassi.

Nel corso di questo secolo continuano a radicarsi le famiglie più antiche del paese e in particolare: Si allargano i Collacciani poiché ciascuno dei due tronconi nei quali si articola ora il casato, quelli di Carlo e Costantino, torna presto a ramificarsi e a dividersi in due parti: il primo in corrispondenza di due nipoti di Carlo nonché figli di Michele: Carlo Giustino (1748 1831) e don Berardo; il secondo in corrispondenza di due pronipoti di Costantino, nonché nipoti di Domenicantonio e figli di Nunzio(1746 1806): Venanzio (1772 1820) e Domenicantonio (1775 1838). Sicché, il casato si presenta diviso in quattro rami in corrispondenza della quinta linea di generazione.

Si allargano i Di Loreto, relativamente ai quali la longevità sembra essere una caratteristica abbastanza ricorrente. Nel 1725 il vecchio capostipite Gio:Pietro era quasi novantenne e vantava una salute da fare invidia a tutti. Dice di lui un contemporaneo: “Gio:Pietro Di Loreto benche sia persona vecchia va a lavorare alla campagna. E’ sensata e di buona memoria di modo che chi vuol sapere qualche cosa lo domandi a lui, che subito gliene da il ragguaglio”. A parlare cosi e il sampelinese Bartolomeo Di Gio:Antonio. La discendenza di Gio:Pietro continua con chierico Loreto Di Loreto (1684 1738) e con il figlio di costui, Gio: Tommaso (1722 1806), che e padre di Carmine Giacomo (1745 1842) e di Pasquale Antonio (1749 1846). Con questi ultimi il casato si divide in due tronconi.

Si allargano i Iacovitti che si dividono anch’essi in due tronconi attraverso due nipoti di Giuseppe Iacovitti, nonche figli di Fietro Antonio(1708 1775): Tommaso Mattia (1744 1820) e Saverio Francesco (1746 1818). Dei due tronconi torna presto a ramificarsi il primo attraverso i figli di Tommaso Mattia: Pietrantonio (1782 1861) e Giovanni Cesidio (1786 1871), mentre prosegue in linea retta l’altro attraverso il figlio di Saverio Francesco: Pietrangelo (1783 1876) e il figlio di costui: Francesco (1824 1910), il notaio sampelinese; Si radicano ulteriormente i Vitelli che, a differenza degli altri gruppi continuano a svilupparsi in linea verticale, e cioè senza dividersi in più rami. La loro discendenza continua con il figlio di Gioacchino, nonché nipote di Pasquale: Giacomo (1748 1823), che fu anche sindaco del paese, e il figlio di costui: un nuovo Gioacchino (1787 1864), dal quale nacque un tal Luigi (1812 1890), il primo della famiglia ad avere questo nome.

Si moltiplicano inoltre i Fracassi che aggiungono altri rami al loro gia ramificato albero genealogico e si espandono anche fuori dal paese. Risalgono a questo periodo i trasferimenti di Leonardo Fracassi a Paterno, di Santo Fracassi a Corvaro e di Isidoro Fracassi ad Avezzano. Sul loro conto, il rapido infittirsi delle ramificazioni e la diffusione che gia allora aveva il cognome sia dentro che fuori S.Pelino, ci inducono a trattare a parte l’argomento. Perciò ne rinviamo la trattazione ad un apposito capitolo che sarà dedicato esclusivamente ad essi. Per ora ci limitiamo a sottolineare che, se in corrispondenza della quarta linea di generazione essi si presentavano articolati in cinque rami, tre dei quali rappresentanti la discendenza di Giuseppe e due quella di Ignazio, con la linea successiva il numero dei rami sale a dieci, otto dei quali costituenti il troncone di Giuseppe e due quello di Ignazio. Gia da questo momento, insomma, si incomincia a delineare un diverso tasso di prolificità che imprimerà uno sviluppo molto differenziato all’una e all’altra linea.


Note
1) -Archivio Diocesano dei Marsi: B, 138 “Relazione del vescovo mons. Layezza al re di Napoli”, pagg. 40 e 56;
2) Erano bracciali coloro che vivevano del proprio lavoro. Secondo una riforma del 1642 la tassa a loro carico non poteva superare i quindici carlini a fuoco, mentre quella a carico dei coloni poteva giungere anche al doppio (da: Nunzio Federigo Faraglia: Il Comune nell’Italia Meridionale, Napoli 1883, pag. 188 e pag. 223);
3)L.Giustiniani: Dizionario Storico Ragionato del Regno di Napoli, Napoli 1797 1806, tomo VIII, pag.216.

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