Mariano Mariani e Mastro Lavinio

Testi tratti dal libro Oricolae Contrada Carseolana nella storia di Nostra Gente
(Testi a cura di Achille Laurenti )

Prendendo lo spunto da un delitto di sangue, i francesi alle dipendenze del Penon, marciarono sull’attigua Vivaro Romano, che prima dell’annessione dello Stato Pontificio al regno d’Italia, si chiamava semplicemente Vivaro. Mariano Mariani di Oricola, coadiuvato da un Naldi di Rocca di Botte e dal sublacense Gian Pasquale Caponi sbarrò loro il passo, in contrada Riotorto, di questo tenimento. Obbligati a ripiegare verso la localitá Pescina, i francesi piombarono su Vivaro.

Il fabbro-ferraio Lavinio Ferruzzi, sul cui petto ardeva la fiaccola di indomabile indipendenza, dietro preventivi accordi con il Mariani, e previo giuramento di reciproca fedeltà di scambievoli aiuti sino alla morte, procurò fucili, altre armi, munizioni e per fino cannoncini da lui espressamente costruiti e cerchiati in ferro. Cosi equipaggiato si barricava con una venticinquina di coraggiosi compaesani entro quel castello, del tempi di mezzo, di pertinenza dell’eccellentisima Casa Borghese.

Ma, prima che i francesi giungessero a Vivaro, subirono parecchie perdite, con altro attacco del cennati insorti, i quali, guidati da Oricolani, pratici dell’adiacente bosco Sesera, non riportarono un morto. Valicate con grande difficoltà le alture, i francesi si posero nei pressi di Vivaro in contrada Peschiera; ebbero parecchie perdite e, con i due cannoni a loro disposizione, non riuscirono a formare una breccia, stante la soliditá del ciclopici muri del castello. Gli aggressori, punti nell’amor proprio e visti riusciti vani i loro sforzi, a lenire la rabbia devastatrice che li corrodeva, si diedero a malvaggi danneggiamenti, con il saccheggio e appiccando fuoco ai pagliari. Poi retrocendo, allo scopo di evitare attacchi dagli indicati insorgenti, si ritirarono nei pressi di Vallinfreda, ponendovi il loro quartiere generale.

Fu allora inviato altro rinforzo di truppe francesi, comandate dal principe Honooski, ammontanti a mille uomini di fanteria e cinquecento di cavalleria: si tornò all’assalto, ma i vivaresi, ben premuniti, causarono circa trecento morti agli avversari. Base di difesa, per lo più, fu lo scaraventare giù per il monte macigni sulla cavalleria nemica, che si avvicinava al paese. Si racconta dal professore Pieralice nelle Ombre di Ovidio fra le rovine di Carseoli, che i cavalli, spaventati travolgessero nei dirupi adiacenti alla via mulattiera, che dalla Conca Carseolana conduce al paese, cavalieri e parte della fanteria francese, causando maggior perdite che non le armi.

Nonostante tuonassero minacciosi due cannoni dalla valle del Casale, i vivaresi ricusarono la resa con promessa di perdono.
Vista la tenace e valida resistenza degli assediati, i francesi chiesero, a mezzo del tenente di cavalleria Olivieri di Tivoli, altri aiuti, specie perchè nuovamente attaccati dagli insorgenti. Inutilmente si tentò la scalata alla fortezza, poichè il Mariani, con i suoi, assalì alle spalle i francesi, mentre i baldi vivaresi facevano una improvvisa sortita, impossessandosi di due cannoni dell’esercito repubblicano, che dovettero poi abbandonare, nel dubbio di essere sopraffatti dal numero. Riuscirono poi incolumi a riacquistare la rocca, mentre gli insorti, senza perdite, si dileguarono.

Ma intanto grave sciagura veniva a colpire i due fraterni paesi Oricola e Vivaro, poichè il 6 maggio 1799, nella battaglia, in contrada Miole, Mariano Mariani, mentre teneva testa a un esercito dello Championnet, con le armi in pugno, perdeva la vita. Da questi registri parrocchiali, risulta che il prode Mariani, vi incontrasse la morte il 6 maggio 1799; che fosse rinvenuto sul campo dell’onore il nove, e che venisse tumulato in sepoltura padronale il giorno successivo, nella Chiesa del Santissimo Salvatore di Oricola, nostra parrocchia.

Dopo mesi di resistenza ricusando novellamente, onorevoli patti di resa, venuto a mancare il valido aiuto degli insorgenti del regno di Napoli, nonchè i viveri e più specialmente l’acqua potabile, la cui condottura era stata maliziosamente deviata, gli eroi assediati, eludendo la sorveglianza del nemici, uno per uno, mediante una corda, scesero da una finestra del castello, e nella tetra oscuritá della notte, si rifugiarono festeggiatissimi in questo e in altri paesi limitrofi.

Il solo Lavinio, novello Coclite, la cui spada si conserva nell’armeria del principe di Arsoli, rimase ancora un giorno alla difesa dell’inespugnata rocca. Poi inosservato andò a raggiungere i compagni, rimanendogli la gloria che, in tante calamità, non ebbe un morto, nè un ferito. La vicina Vallinfreda al mattino susseguente generosamente ospitò i rimanenti abitanti di Vivaro.
I testardi che, con l’intenzione di salvaguardare interessi economici, rimasero in paese, specie le donne, ebbero dalle soldatesche francesi danni e oltraggi di ogni genere. Ed è piacevole tornare con gli occhi della mente e del cuore a un glorioso passato e a far conoscere a chi lo ignori, qualche particolare della storia locale, pur ricca d’insegnamenti e degna di esame.

Il Mariani, che immolò la giovane esistenza in olocausto delle patrie libertà, fu degno erede della sua patrizia famiglia, che, insignita dell’alta onorificenza del cavalierato di San Gennaro, appartiene a quella nobile schiatta discendente dall’esimio guerriero Mariano da Sarno, uno degli eroi della disfida di Barletta.
Lavinio Ferruzzi, che Giuseppe Presutti di Riofreddo, in una monografia su Vivaro Romano, giustamente vorrebbe chiamare il piccolo Ferruccio, dimostra che non a caso la somiglianza o assonanza del cognomi, abbia fatto alludere al grande eroe di Gravinana e che anche in petto di un modesto fabbro, si possa nutrire la innata fiamma delle patrie libertà. La memoria di si grandiose figure, che illustrano la nostra regione equa, ci dia la tempra di quella indipendenza e di quella vera italianitá, foriera del migliori destini, per la nostra Patria.

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