LO CHALET TORLONIA (preparazione)

Nella recensione che il già citato giornale “L’Italia Morale” dedica il 5 dicembre 1895 allo Chalet Torlonia, indicato come Chalet Svizzero, si legge: “ I trenta mc di legname di cui componesi, possono dismettersi pezzo per pezzo ……”. La stima dei trenta metri cubi si può ritenere verosimile in quanto, calcolando sommariamente il volume del legname impiegato per i soli pannelli laterali, pilastri e pavimento, chi scrive è pervenuto ad una cifra pari a circa 25 m3 (approssimativamente 12 m3 per i pannelli, 5 m3 per il pavimento, 8 m3 per i pilastri); si sale facilmente, poi, al valore citato di 30 m3 considerando il tetto, le vetrate, il porticato ed ammennicoli vari.

Una considerazione, poi, rende ancor più verosimile detta dimensione di 30 m3: la dichiarata smontabilità dell’edificio presuppone la necessità di suoi trasferimenti da un luogo ad un altro; 30 m3 di legname è, quindi, una quantità che può agevolmente viaggiare stipata in un unico vagone ferroviario, tipico mezzo di trasporto pesante della fine del secolo scorso.

Dalla stima della quantità di legname impiegato si può anche risalire, approssimativamente, al costo finale dell’opera. Il Manzocchi riporta, nel suo “Trattato sulle costruzioni in legno”, 1874, i costi della manodopera per le lavorazioni del legname. Alla voce “formazione di strutture a perfetta esecuzione” risulta un costo a metro cubo variabile da £ 40 a £ 45.
Il costo della sola manodopera, pertanto, è stimato pari a circa £ 1275.
Sempre da Manzocchi si può ricavare che il costo totale dei travi per gli otto pilastri è stimato pari a circa £ 1160, il costo del rimanente tavolato è stimato pari a circa £ 1448, il costo per il pavimento pari a circa £ 818 e, infine, £ 500 per i restanti cinque metri cubi. Il costo totale presunto, pertanto, si può stimare in £ 5193 più il costo del progetto e dei dipinti.

Dopo essersi formata un’idea, ancorché approssimativa, della quantità del materiale lavorato e del costo dell’opera finita, non è difficile immaginare quale sia stato il primo problema del sig. Tersilio Boccaccini, abile realizzatore del manufatto (foto 10) nell’accingersi a sbrigare la commessa affidatagli: la scelta del legname da impiegare! Questa, per quanto riguarda le specie legnose, ricadde sul Pino marittimo (Pinus pinaster Ait.), come risulta dalle analisi dei campioni effettuate a Firenze presso il laboratorio dello ”Istituto di assestamento e tecnologia forestale” dell’Università, e sul castagno (Castanea sativa Miller). Dalle caratteristiche tecnologiche di questi legnami, si può ben affermare che non fu una scelta casuale. I manufatti di origine storica, infatti, ci riferiscono che, nella cultura tecnica degli artigiani del passato, carpentieri e falegnami, l’impiego, secondo la destinazione, delle specie legnose era una conoscenza consolidata, anche se soltanto dall’esperienza e dalla consuetudine.
Era ben noto, quindi, che, sia il Pino marittimo sia il castagno, per la loro buona durabilità sono indicati per impieghi all’esterno.

In questa analisi sulle scelte del materiale legnoso adoperato, non può essere trascurato l’aspetto inerente alle pezzature del legname, alle sue tipologie e alle forme dei segati disponibili sul mercato nel secolo scorso. Esse sono legate alle consuetudini ed ai sistemi di lavorazione. Scavizzi, nel suo “edilizia nei secoli XVII e XVIII a Roma”, riporta alcune tabelle relative alla grandezza dei pezzi dei legnami in uso, dalle quali si evince che le pezzature dei segati utilizzati per lo Chalet Torlonia non erano comuni. Considerata l’affatto esigua quantità di legname utilizzata, la sua qualità e la pezzatura dei segati, nasce spontaneo domandarsi come e dove sia avvenuto l’approvvigionamento di tale materiale legnoso. Con il Pino marittimo è stato realizzato il corpo centrale dell’edificio mentre il castagno è stato impiegato per il pavimento e per il porticato esterno.
Dalla considerazione che, per quanto dato di conoscere sui restauri effettuati, tanto il pavimento quanto il porticato esterno sono stati completamente sostituiti, potrebbe apparire che la scelta del castagno sia stata meno felice di quella del Pino marittimo.

Tale non è in quanto la poco durabilità del porticato esterno non può essere attribuita alla scelta della specie, bensì all’alta percentuale di alburno presente nel materiale utilizzato: le scelte estetiche dettate dall’architetto che ha disegnato lo Chalet hanno richiesto l’uso di rami piuttosto che di segati provenienti dal tronco. Neanche la completa rimozione del pavimento ligneo può essere attribuita alla durabilità del castagno, sebbene questo legno non sia tra i più indicati per tale utilizzo, soprattutto per la difficoltà a reperire tavole lunghe di idonea qualità. Chi scrive ha già detto che la rimozione del pavimento è da attribuire, con ogni probabilità, soltanto alla sostanziale estraneità del materiale legno alla cultura tecnica odierna di chi opera certe scelte di restauro.

Stabilita la specie legnosa da utilizzare, è stata profusa, è proprio il caso di dirlo, ogni solerzia per la selezione del materiale specifico poi adoperato; ciò risulta ben evidente fin dal primo approccio che si ha con il manufatto. Il legname di Pino marittimo adoperato per il corpo centrale, infatti, mostra tutte caratteristiche che denotano qualità: i segati grezzi, prodotti con tagli di segagione radiali o subradiali, hanno anelli d’accrescimento stretti e regolari indicanti la provenienza da alberi che hanno goduto di un accrescimento lento e regolare, dovuto alla stazione idonea, agli interventi silvicolturali, alla posizione sociale ed allo stato di salute.

Gli indizi a disposizione del tecnologo del legno, necessari a comprovare tali affermazioni sono macroscopici ed evidenti: quando il fusto viene sezionato, il disegno, detto venatura, formato dalle tracce che gli strati di accrescimento lasciano sulle superfici dei pezzi, ha un aspetto caratteristico per ogni sezione fondamentale del fusto, radiale o tangenziale. Nel primo caso la venatura è rigata, mentre nel secondo essa è fiammata. Inoltre, trattandosi di legname di Pino marittimo, il disegno risulta ben evidente per le differenze di aspetto tra legno primaticcio e legno tardivo, molto marcate (Nardi Berti).
La partita di legname utilizzata dal sig. Boccaccini per realizzare lo Chalet Torlonia, mostra proprio un’altissima percentuale di pezzi con anelli stretti e venatura rigata. L’eccezione più evidente è in una tavola di un pannello laterale, che peraltro presenta anche una significativa falcatura; qui la larghezza degli anelli, posta a confronto con quella media delle altre tavole, induce subito il sospetto che la tavola in questione non sia originale ma sostituita durante i recenti interventi di manutenzione.

Alla luce di un’attenta analisi, inoltre, gli indizi rivelano al tecnologo del legno che la scelta operata dall’abile artigiano non è stata limitata a queste due caratteristiche descritte. Egli ha saputo riconoscere e valutare l’andamento della fibratura del materiale che utilizzava. Nelle tavole prodotte con segagione radiale, infatti, si può notare la rigatura sempre perfettamente parallela al lato lungo della tavola denotando con ciò che la sua fibratura è priva di anomalie e difetti quali fibratura inclinata, ondulata, intrecciata, elicoidale.
Similmente, nei rarissimi pezzi prodotti da una segagione tangenziale, le fessurazioni non raggiungono mai un’inclinazione superiore al 3% o al 4% rispetto all’asse del segato, denotando anche qui una fibratura priva di indesiderate deviazioni.

La fibratura regolare si riscontra anche negli otto pilastri dove pone in evidenza la perfetta linearità dei tronchi d’origine la cui squadratura, quindi, non ha comportato pressoché alcuna distruzione della continuità delle fibre legnose rendendo così gli elementi prodotti del tutto adatti ad essere utilizzati con sicurezza per scopi strutturali.

In alcune conifere, tra cui il Pino marittimo, si verifica frequentemente l’anomalia delle “tasche di resina”, ossia zone di separazione tra due cerchie annuali, a forma lenticolare, riempite di resina. Esse costituiscono un difetto giacché fuoriesce della resina che deturpa le superfici limitrofe; se si trovano nel durame, inoltre, si ha anche un’isola di alburno contornata dal durame (Giordano).
Anche se sono state riscontrate sporadicamente tasche di resina, tutte indicate nelle successive tavole tematiche, nell’esprimere un giudizio complessivo sulla scelta del legname effettuata dal costruttore, non può assolutamente essere trascurata l’evidente meticolosità, da esso adoperata in questa fase preliminare della realizzazione dello Chalet; la gran parte del materiale scelto risulta parimenti privo anche di altri gravi difetti quali cipollature, gruppi di grossi nodi, legno di reazione, presenza di midollo, ecc..

Dall’ispezione generale di ogni parte accessibile del manufatto si è potuto rilevare che, nel legname posto in opera, è rara anche la presenza di midollo, la cui eventuale esistenza non può assolutamente sfuggire agli occhi del tecnologo del legno; infatti, qualora fosse poco visibile la presenza di legno giovanile, di cui sono costituiti gli anelli annuali più vicini al midollo, talvolta riconoscibile perché esso forma anelli con minore percentuale di legno tardivo (più scuro), nelle tavole radiali ci sono sempre gli inconfondibili nodi a baffo a segnalarne la presenza. Naturalmente non è ipotizzabile che nella scelta del legname fossero stati rifiutati tutti i segati con presenza di midollo. Risulta più verosimile l’ipotesi che, data la sua marcescenza e la localizzazione in esso di tensioni interne, fosse stato eliminato dalle tavole dividendoli in senso longitudinale compatibilmente con le dimensioni dei pezzi da realizzare; ciò induce a ritenere considerevoli anche le dimensioni dei tronchi che hanno dato origine a tali segati grezzi.

La perizia mostrata dall’artigiano nella scelta del materiale grezzo da utilizzare non può che denotare una profonda conoscenza delle caratteristiche tecniche del legno; una conoscenza certamente empirica e prammatica, non certo scientifica, ma che comunque ha concorso a dare i frutti attesi perché lo stato di conservazione del manufatto nel complesso si può considerare accettabile.
Il materiale grezzo ricavato da segagione radiale, infatti, ha un ritiro inferiore (fino alla metà) rispetto all’omologo ricavato da una segagione tangenziale; ciò è dovuto all’anisotropia delle pareti cellulari ed alla maggiore lignificazione della lamella mediana radiale rispetto a quella tangenziale (Nardi Berti).
Gli effetti sul ritiro, avendo privilegiato per tale manufatto la scelta di segati provenienti da segagione radiale, si possono riscontrare soprattutto nelle tavole degli otto pannelli laterali chiusi, ciascuna delle quali è fissata al telaio del pannello per mezzo di due grosse viti; per esse sono facilmente prevedibili fessurazioni da ritiro e rigonfiamento, dovute al fenomeno di adsorbimento e desorbimento dell’umidità.

Se ciò non è stato per la loro maggior parte, oltre alle condizioni ambientali i cui valori sono di seguito riportati, se ne deve attribuire il merito a chi ha scelto, con sapiente attenzione alle caratteristiche anisotrope del materiale, legname prodotto con una segagione che ricavi tavole la cui larghezza coincida con la direzione anatomica di minor ritiro. Ciò evita o riduce grandemente anche il difetto dell’imbarcamento il quale è direttamente dipendente dalla tangenzialità della segagione e dallo spessore della tavola; questa, infatti, così tagliata, avendo una faccia più tangenziale dell’altra, subirà su di esse ritiri di diversa intensità e, pertanto, forze di trazione differenti che porteranno il segato ad incurvarsi trasversalmente rivolgendo sempre la concavità della curvatura in direzione della parte esterna del tronco di provenienza.

Forzando successivamente la tavola in posizione piatta durante l’essiccazione e lavorandola con piallatura e rifilatura, si può ridurre il difetto dell’imbarcamento, ma non si può certamente annullare; le tensioni interne restano ben presenti e comportano non pochi inconvenienti nei manufatti in cui sono poste in opera tavole siffatte, soprattutto se è molto variabile l’umidità degli ambienti in cui poi essi sono collocati.

Inconvenienti dello stesso tipo si verificano in segati con difetti di falcatura, svergolatura e arcuatura accuratamente evitati nello Chalet Torlonia.
Le cause, per questi, non è il tipo di segagione tangenziale ma la presenza di legno di reazione rispettivamente su un bordo, nella zona centrale oppure su tutta una faccia, sempre in direzione assiale. Identico, però, è il fattore scatenante: la variazione di umidità e conseguente ritiro del materiale.
Il legno di reazione, sia esso di compressione per le conifere sia esso di tensione per le latifoglie, ha sempre un ritiro assiale più elevato rispetto al legno normale (Nardi Berti) nel quale il ritiro in questa direzione è minimo.
Ecco dunque che, in occasione di adsorbimento o di desorbimento dovuto a variazioni dell’umidità ambientale, per le differenti variazioni dimensionali, i difetti succitati si manifestano con tutta la loro evidenza.

In una disquisizione finale sulle poche anomalie e ancor minori difetti rilevati nel legname che costituisce il manufatto, si può esporre un’ulteriore considerazione per giustificare la presenza, seppure rara, di materiale che talvolta appare meno selezionato rispetto alla media, sempre nell’ipotesi che ciò non sia dovuto a successivi maldestri interventi di restauro. Il sig. Boccaccini, titolare dello “stabilimento a vapore” nel quale è stato realizzato l’edificio, ha operato la scelta del legname certamente in prima persona, sia per la responsabilità del buon completamento dell’opera, sia per la sua riconosciuta esperienza (giornale “L’Italia Morale”, 1895). La scelta, come detto, è stata molto accurata pertanto c’è da ritenere che anche le direttive di lavorazione, soprattutto quelle relative alla scelta della posizione della faccia migliore della membratura, siano state impartite personalmente dal titolare della Ditta.

Tutto ciò, però, nonostante la sorveglianza del lavoro certamente attenta da parte del Boccaccini stesso, non può essere stato assolutamente sufficiente ad evitare qualche imperfezione o errore: l’operaio, meno motivato del datore di lavoro, nell’eseguire le lavorazioni non mantiene l’attenzione sempre allo stesso livello. Questo è un motivo per il quale, nonostante l’evidente perizia ed attenzione del costruttore, è rilevabile la presenza di qualche anomalia e difetto non grave.

Caratteristiche delle specie individuate

Pinus pinaster Ait.; sinonimi: Pinus maritima Mill.; nome volgare: Pinastro, Pino marittimo. Il Pino marittimo è una Gimnosperma, Classe Coniferopsida, Ordine Coniferales, Famiglia Pnaceae. E’ un albero che può raggiungere i 40 m d’altezza ed oltre 1 m di diametro; molto sovente il fusto è leggermente curvato a sciabola; è poco longevo, può arrivare a 150-200 anni. L’area di distribuzione del Pino marittimo è la regione mediterranea occidentale: Algeria, Marocco, penisola Iberica, Corsica, costa atlantica meridionale della Francia. In Italia è presente specialmente nel settore Nord-Occidentale (Liguria e Toscana), più raro a Sud dove la sua presenza è in gran parte artificiale.

L’areale ricade nella zona del Lauretum e nella sottozona calda del Castanetum; dalle coste si spinge fino a 800-1000 m di altitudine, in Liguria, anche oltre: la razza di Corsica è più montana e può raggiungere anche 1600 m..
E verosimile che il materiale con cui è stato realizzato lo Chalet Torlonia sia provenuto dalla Toscana o dall’alto Lazio, luoghi non troppo lontani da Roma dove risiedeva lo stabilimento Boccaccini. Il legno di Pino marittimo ha il durame rossiccio, differenziato dall’alburno giallastro; i suoi anelli annuali sono ben distinguibili per l’ampia zona di legno tardivo; esso è piuttosto pesante, fortemente resinoso e con fibre grossolane, perciò non è adatto ad usi di falegnameria fine. Alcune sue caratteristiche: valori non molto elevati per il ritiro; mediamente durabile; alburno molto impregnabile; durame non impregnabile; suscettibile agli Anobidi, alle Termiti ed al fungo Hylotrupes bajulus.

Castanea sativa Miller.; sinonimi: Castanea vulgaris LLam., Castanea vesca Gaertn, Castanea castanea Karst; nome volgare: Castagno.
Il Castagno è una latifoglia, Ordine Fagales, Famiglia Fagaceae.
E’ un albero che soltanto eccezionalmente raggiunge i 35 m di altezza, normalmente è alto 15-20 m ed ha un diametro di 6-8 m; è molto longevo, può arrivare fino a 500 anni. E’ difficile indicare l’areale d’indigenato del Castagno data l’antica coltivazione di questa specie. Allo stato spontaneo si trova in un’ampia area che gravita principalmente sul Mediterraneo orientale: il suo limite settentrionale sono i Pirenei e le Alpi. In Italia vegeta in tutto il piano medio montano dell’Appennino e delle Isole e sul piano basale delle Prealpi e delle Alpi.
La zona fitoclimatica non può che essere quella del Castanetum, ma si spinge talvolta anche nella zona del Fagetum.

Il legno di Castagno ha una netta differenziazione tra alburno giallastro e durame chiaro; sono ben visibili ad occhio nudo i grossi vasi negli anelli annuali mentre i raggi parenchimatici non sono visibili; esso è mediamente pesante, compatto ed elastico, indicato sia per paleria che per falegnameria. Alcune sue caratteristiche: ritiro radiale 4,3%; ritiro tangenziale 6,6%; buona stabilità dopo la stagionatura; buona durabilità; alburno mediamente impregnabile; durame non impregnabile; ricco di tannino che provoca macchie sui muri; non è particolarmente suscettibile ad insetti e funghi.

Quercus petraea (Matt.) Liebl; sinonimi: Quercus sessili Ehr, Quercus sessiflora Salisb.; nome volgare: Rovere. Il Rovere è una latifoglia, Ordine Fagales, Famiglia Fagaceae. E’ un albero alto fino a 35 m con diametro di 1-2 m; è molto longevo potendo vivere anche fino a 300 anni. L’areale del Rovere si estende a gran parte dell’Europa occidentale e centrale. Nel passato copriva grandi estensioni del territorio d’Italia; attualmente, invece, la sua presenza è d’importanza del tutto secondaria perché il Rovere si trova, sporadicamente, soltanto nelle vallate alpine e prealpine, in Maremma ed in Calabria, mentre l’unico bosco di una certa entità è sul monte Corona vicino Umbertide (Perugia).
La zona fitoclimatica è tra il Lauretum ed il Castanetum.

Il legno di Rovere ha l’alburno biancastro e il durame marrone che scurisce con il passare del tempo; gli anelli annuali sono ben distinguibili ed i raggi parenchimatici altrettanto evidenti; esso è piuttosto pesante, di facile lavorazione, di lunga durata e di bell’aspetto. Queste sue caratteristiche lo rendono uno dei legni più ricercati per molteplici usi: doghe per botti, costruzioni navali ed edili, travature, liste per pavimenti, ecc.. Alcune sue caratteristiche: ritiro radiale 4,4%; ritiro tangenziale 8,3%; tende a fendersi dopo la stagionatura; buona durabilità; alburno molto impregnabile; durame non impregnabile; non è particolarmente suscettibile ad insetti e funghi.

Testi del dott. Roberto Romani

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