LO CHALET TORLONIA (Gli elementi strutturali)

Lo chalet oggetto dello studio viene oggi mostrato ai visitatori del parco che lo accoglie, come il padiglione realizzato dai Torlonia per esporre progetti e reperti del prosciugamento del lago Fucino alle Esposizioni Universali di Parigi e di Torino alla fine dell’Ottocento. A maggiore credibilità viene anche aggiunto che, per motivi logistici derivanti dai continui trasferimenti, la struttura era stata concepita come archetipo di “prefabbricato” in legno.

Accertato, però, che parte di quanto si racconta intorno allo chalet Torlonia non è confortato da prove reali, resta la sola certezza dell’evidente smontabilità della struttura. La smontabilità, tuttavia, non può assolutamente essere interpretata come l’elemento caratterizzante di una struttura prefabbricata: può essere, alcune volte, una condizione necessaria, ma certamente mai sufficiente.
Il carattere che definisce univocamente i prefabbricati è qualcos’altro e risiede nella possibilità di mettere in opera elementi portanti complessi, formati da parti pre-assemblate, capaci da soli di assolvere completamente ad una specifica funzione strutturale, in un luogo diverso da quello in cui vengono montati. Elementi dello Chalet Torlonia che rispondono sicuramente a tali caratteristiche sono alcune parti dei pannelli lignei costituenti le pareti.

Analogamente, nemmeno la sola modularità, ricorrente in molti manufatti lignei e definita come ripetizione di strutture elementari, può essere intesa come carattere tipico delle strutture prefabbricate; queste possono o meno possederla. E’ interessante capire, pertanto, quanto della struttura in studio possa essere considerato prefabbricato e quanto invece si debba ritenere modulare e/o smontabile. Risulta prioritaria, in questa indagine, un’analisi preliminare sul funzionamento statico dell’intera struttura, sulla definizione dei suoi elementi strutturali e sui loro rapporti gerarchici. Lo Chalet Torlonia, come detto, ha pianta ottagonale. La scelta di tale forma, con ogni probabilità, ha origine prevalentemente estetica, anche se non può non apprezzarsi il valore funzionale: maggiore superficie coperta a parità di perimetro, e quindi di legname impiegato, rispetto a una pianta con minor numero di lati.

Considerato, però, che il fabbricato è stato poi collocato in Avezzano, zona notoriamente ad alta sismicità, la scelta si è rivelata anche opportuna.
Il Pedrini, infatti, nel suo lavoro “La casa dell’avvenire” del 1910, attribuisce agli edifici con pianta poligonale particolari pregi antisismici, inferiori soltanto agli edifici con forme circolari. Le componenti principali che costituiscono l’intero manufatto si possono considerare quattro: il basamento, il corpo centrale, la sua copertura e il porticato.

Il basamento

Chi ha ideato la struttura era ben consapevole che il degradamento di qualunque membratura lignea ha inizio nelle zone dove si verifica il ristagno di acqua: tipicamente il tetto e l’appoggio al suolo. Il piano calpestabile di tutto l’edificio, infatti, è rialzato, rispetto al piano di campagna, di circa 60 cm, e vi si accede attraverso quattro scale, ciascuna di quattro gradini, poste ortogonalmente tra loro. Gli otto pilastri del corpo centrale, inoltre, sono distanziati dal suolo attraverso altrettanti plinti metallici (ghisa) i quali sembrano semplicemente appoggiati sul terreno. Esternamente all’ottagono delimitato dai plinti, per tutta l’ampiezza del porticato e per un’altezza sufficiente a superare quella dei plinti stessi, è realizzato un riempimento in sassi e calcestruzzo la cui superficie superiore costituisce l’acciottolato del porticato stesso. Internamente all’ottagono, invece, un pavimento in legno, attualmente in pannelli di listoni e tavole di Rovere, posto allo stesso livello dell’acciottolato esterno, chiude superiormente un ampio spazio vuoto arieggiato attraverso quattro prese d’aria contrapposte, “a bocca di lupo”, che si affacciano sull’acciottolato del porticato.

Come se ciò non bastasse, grande attenzione è stata riposta anche nel mettere in opera lo stesso pavimento di legno del corpo centrale. Questo, infatti, è appoggiato sopra una struttura di travi di legno sostenute al centro dell’ottagono da un ritto di legno a sua volta appoggiato su plinto metallico (la cui forma è del tutto simile a quella del monaco reale presente nei tetti a padiglione) mentre perimetralmente le travi sono sorrette da una catena poligonale lignea che collega gli otto pilastri. L’evidente funzione del basamento è di isolare il manufatto ligneo dal terreno al fine di proteggerlo dalla umidità del suolo e dalla risalita capillare dell’acqua. Successivamente, in occasione dell’intervento di restauro nel 1992 durante il quale si è sostituito il pavimento originale con quello attuale, è stato messo in opera direttamente sul terreno un massetto di cemento, alto circa 10 cm e, su di esso alcuni blocchi di cemento a sostegno delle travi. Tutto ciò, però, appare il frutto di un intervento estemporaneo e poco meditato, e potrebbe aprire all’umidità una via di risalita dal suolo grazie alla porosità del cemento a diretto contatto con il legno.

Il corpo centrale

Ogni funzione statica dell’intera struttura è stata affidata al corpo centrale.
Esso è costituito dagli otto pilastri in legno di Pino marittimo poggiati sui plinti metallici già descritti, da tre serie di catene lignee poligonali chiuse, da sei pannelli lignei chiusi, da due portoni d’ingresso e, infine, da una vetrata perimetrale. I pilastri e le catene poligonali chiuse costituiscono gli elementi strutturali dell’intero complesso; i pilastri sono visibilmente sovradimensionati, supplendo così all’assenza di tiranti alle proprie estremità superiori, per ogni coppia opposta.

I pannelli cui è demandato anche il compito, insieme alla vetrata ed ai portoni, di tamponatura, assolvono, invece, funzioni stabilizzanti rispetto alle sollecitazioni esterne orizzontali, quali, ad esempio, il vento e il sisma, impedendo all’intera struttura traslazioni assolute o derivanti da rotazioni. L’utilizzo del legname per le catene poligonali chiuse può essere considerata un’apprezzabile scelta tecnica oltre che estetica poiché, anche se la resistenza del legno a trazione assiale è, in valore assoluto, notevolmente minore della resistenza del metallo, quando ci si riferisce al quoziente di qualità (carichi di rottura divisi per le relative masse volumiche moltiplicate per cento) ci si accorge che il legno a trazione assiale “lavora” meglio del metallo (Giordano).

Per sfruttare appieno le eccellenti qualità del legno di resistere a sforzi di trazione, però, devono essere superate le difficoltà dovute all’applicazione delle forze alle estremità. Generalmente si ricorre, ancora oggi, a membrature sovradimensionate come potrebbe essere stato nel caso in studio, soprattutto laddove l’elemento massiccio è anche motivo di pregio estetico.

Le catene poligonali chiuse che collegano gli otto pilastri sono disposte in tre serie: quella più in basso si trova dove i pilastri si uniscono ai plinti metallici ed ha prevalentemente funzione di dormiente per ripartire i carichi verticali. E’ a questa catena poligonale chiusa che si aggrappano le travi di sostegno del pavimento ligneo del corpo centrale. La seconda è collocata dove il tetto del porticato incontra il corpo centrale. Questa catena poligonale chiusa, svolge altre due funzioni oltre a quella che è ad essa propria: appoggio ai travetti che sostengono la copertura del porticato e fermo esterno dei pannelli laterali chiusi.
La terza catena, infine, è posta presso la sommità dei pilastri. Le catene poligonali chiuse disposte su tre serie sono importanti elementi strutturali stabilizzanti. Esse erano previste già nella guida intitolata “Norme per le costruzioni” preparata in Cina nel XII secolo (Glahn). Più recentemente, 1909, le ha riproposte Pasquale Frezza nel suo brevetto (Ufficio Centrale Brevetti, n° 103254) relativo ad un sistema di costruzione di case resistenti ai terremoti; egli scrive: “… tutta questa armatura di legname non la fermo con chiodi, ma con bulloni a vite …”, proprio come nello Chalet Torlonia.

In ciascuno spazio tra due pilastri consecutivi trovano posto una vetrata ed un pannello di legno o un grande portone d’ingresso, l’una al di sopra del porticato esterno l’altro al di sotto. La capacità collaborante dei pannelli di legno chiusi nella stabilità dell’insieme deve essere tutta attribuita alla modalità di realizzazione della loro intelaiatura la quale è completata da ben quattro “Croci di S. Andrea”. Il caso in questione mostra appieno la validità delle “Croci di s. Andrea”, strutture tipiche per funzioni di controventatura in cui mentre un elemento lavora a trazione l’altro lavora a compressione assiale.
E’ degno di nota rilevare che le crociere dei pannelli laterali chiusi del nostro manufatto, nonostante le esili dimensioni rispetto all’intero edificio, sono in grado di sostenere più che dignitosamente gli sforzi di controventatura dell’intera struttura, confermando le ottime prestazioni meccaniche del legno di buona qualità.

Il portone opposto all’ingresso principale è stato chiuso stabilmente per modificare la fruibilità dello spazio realizzato originariamente dal progettista.
Non si intravede, invece, il motivo che ha portato alla chiusura stabile delle vetrate mediante l’applicazione di piastrine metalliche.
Le vetrate, ciascuna costituita da cinque ante, mostrano ancora ben evidenti le cerniere e le chiusure metalliche che permettevano il ribaltamento della seconda e della quarta anta con un meccanismo tipo vasistas dove la metà di ciascuna anta posta al disopra della cerniera si ribaltava all’interno mentre la metà inferiore fuoriusciva.

La copertura del corpo centrale

La copertura del corpo centrale è un tipico esempio di tetto a padiglione ottagonale. Non è stato possibile accedere, per sopralluogo, alla struttura di sostegno della copertura, a causa della presenza di un controsoffitto in tela dipinta e di un manto esterno costituito da diversi strati impermeabili di carta catramata, lamiera zincata e tegole. La struttura, pertanto, può essere desunta soltanto dalle foto realizzate durante i lavori di restauro eseguiti nel 1978. Appare subito la doppia serie di puntoni: quelli superiori a sostegno del tetto e quelli inferiori cui è appeso il controsoffitto. Tale scelta si è imposta non soltanto per sgravare le incavallature di sostegno del manto esterno dal peso del controsoffitto, come accade laddove sono realizzati grandi e pesanti soffitti di legno, ma anche per dare al controsoffitto la forma a cupola ritenuta più adatta per accogliere il rivestimento in tela dipinta.

I puntoni, in numero totale di sedici per ogni serie, di cui otto posti agli angoli dell’ottagono ed altrettanti alla metà del lato, convergono al centro dove è posto l’elemento di congiunzione che presumibilmente (non è visibile) sarà un monaco a sezione ottagonale oppure qualche cosa di simile con funzionamento analogo. Il tetto è sormontato da un’asta metallica, pennone, di altezza pari a circa la metà dell’intero edificio (8 m). Considerato che per la sua dimensione essa esercita un momento affatto trascurabile, si pone subito il quesito di come essa possa essere fissata alla struttura del tetto. Purtroppo, senza alcuna possibilità d’accesso al sottotetto, tale quesito è destinato a restare, per il momento, privo di risposta certa. Sarà necessario attendere l’occasione di un cantiere, di lavoro o di studio, in opera sul manufatto per poter rispondere a questa ed altre domande relative allo stato di conservazione delle membrature della copertura.

Una struttura di questo tipo può ben essere definita spingente sulle pareti laterali dell’edificio in quanto, così come descritta, le membrature non formano alcuna figura geometrica indeformabile come avviene, per esempio, nelle capriate. In una situazione di questo genere, il peso stesso del tetto, forzando sull’estremità libera dei pilastri, potrebbe essere già sufficiente ad insidiare la stabilità dell’intera struttura. Evidentemente, la spinta laterale è contrastata dalle catene poligonali chiuse in particolare dalla catena superiore che delimita un vero e proprio tamburo ottagonale su cui appoggia la copertura.
Un altro aspetto che colpisce osservando le fotografie della struttura lignea del tetto, è l’esilità dei pezzi di cui essa si compone, nella considerazione che tutti, nonostante la lunghezza anche oltre 5 m di luce, hanno resistito egregiamente in una località dove le nevi invernali non sono certo scarse.

La dimensione di tali membrature appare ancora più suggestiva nel vedere che esse fuoriescono per circa 1,5 m dalla linea di perimetro del corpo centrale per formare la grondaia. Questa è sorretta anche da alcuni saettoni che poggiano sulla più alta delle tre catene lignee poligonali chiuse seppure, in tale situazione, risultano poco utili perché il peso che grava nel tratto “a trave” della membratura collabora a sostenere il tratto “a mensola”. Chi scrive ritiene che la scelta dimensionale delle membrature della struttura del tetto non deve essere interpretata come una caduta del livello qualitativo del progetto e della costruzione del manufatto. Essa, invece, è da attribuire al fatto che originariamente era previsto un manto di copertura non già di tegole, come appare almeno dal 1911, ma di ben più leggera fronda di alberi, se non addirittura di paglia, come documentato in una incisione del dicembre 1895 (giornale “L’Italia Morale”, Anno VIII, n° 151). La scelta di una grondaia così ampia (1,5 m di aggetto) non ha soltanto valore estetico, seppure certamente apprezzabile, essa ha soprattutto valore funzionale in quanto implica una maggiore protezione dalle intemperie della facciata esterna, delle pareti e soprattutto delle vetrate.

Tale protezione, sempre importante qualunque sia il materiale da costruzione con cui è realizzato l’edificio, assume particolare valore quando questo è in legno per via della sua suscettibilità ai danni derivanti all’acqua e ancor di più quando se ne giovano gli infissi, già delicati per loro natura.

Il Porticato

Il porticato esterno costituisce, infine, l’ultima delle quattro componenti principali che, si è detto, formano l’intero manufatto. Esso conferisce all’edificio un aspetto esterno a due altezze e due volumi quando nella realtà, invece, l’unico e solo volume è quello del corpo centrale. La copertura del porticato è formata da sette falde trapezoidali con identica pendenza del tetto che copre il corpo centrale, del quale appare la naturale prosecuzione più in basso di un’altezza.

Tale linearità di forme si interrompe nell’ottava falda, quella sopra l’ingresso principale, la quale è rimpiazzata da una diversa copertura, un tetto a due falde laterali che conferisce importanza alla veduta dell’edificio da questa angolazione.
Le sette falde trapezoidali poggiano il lato corto sulla catena lignea poligonale che si trova, a metà altezza dei pilastri, intorno al corpo centrale, mentre poggiano il lato lungo su quattro pali lignei equidistanti, due dei quali, alle estremità, sono condivisi tra due falde contigue.

In testa ai quattro pali di ciascun lato è posto un lungo bancale fissato con due puntoni laterali per ogni palo; struttura, questa, che assolve anche a funzioni di controventatura del porticato. Per ogni falda trapezoidale, due falsi puntoni posti in corrispondenza dei lati obliqui più altri due posti a dividerla in tre parti pressoché uguali, sorreggono una serie di correnti grezzi sormontati, a loro volta, dal manto di tavole e tegole. Per completare, l’intero porticato è delimitato da un parapetto, alto circa un metro, che si interrompe soltanto in corrispondenza delle quattro scalette d’accesso.

Il materiale ligneo con cui è realizzato l’intero porticato, è costituito da pali grezzi di diverse sezioni e da rami intrecciati, nella quasi totalità di castagno, di piccolo e piccolissimo diametro. Il motivo di questa scelta è esclusivamente estetico, seppure di gusto discutibile, in quanto tale materiale, relativamente ricco di alburno, ha sicuramente scarsa durabilità e nessun vantaggio strutturale. Per dare forza a tale affermazione si rammenta che il porticato è l’unica parte dell’intera struttura che, nel 1978, è stata completamente sostituita in quanto ritenuta eccessivamente deteriorata rispetto al resto ed oggi è già di nuovo in cattive condizioni.

Le unioni

Per “unioni” si intende qualsiasi collegamento tra le membrature che formano una struttura lignea al fine di trasmettere gli sforzi per conseguire la sua stabilità statica: nodi di strutture reticolari o di capriate, collegamenti tra travi principali e secondari oppure tra tavolato collaborante e membrature portanti, ecc.
L’ingegnosità dei progettisti, ma soprattutto degli artigiani, non ha mai posto limiti alla possibile tipologia di collegamenti realizzabili per risolvere situazioni particolari; molto spesso, perciò, la rarità delle loro caratteristiche peculiari esige maggiori attenzioni da parte degli organismi preposti alla conservazione del patrimonio artistico e culturale Italico.

Nell’ordinarietà, però, le unioni più comuni sono soltanto a “tenone e mortasa” ed a “mezzo legno”. Queste risultano tipiche per membrature sottoposte a sforzi di compressione assiale e trasversale e sforzi di flessione. Quando, invece, è richiesta una resistenza a trazione assiale, è necessario ricorrere al supporto ausiliario di organi accessori, metallici o lignei quali chiodi, bulloni, caviglie, perni, ecc., per rendere i collegamenti capaci di sopportare gli sforzi elevati che il materiale legno permette in tali situazioni.

Nel manufatto oggetto di studio, alla base dei pilastri si trovano delle “connessioni esterne”, così dette perché realizzano il collegamento tra la stessa membratura lignea ed un diverso sistema strutturale cioè il basamento in muratura; il loro funzionamento è per semplice appoggio attraverso plinti metallici e permettono anche la protezione del legname dall’umidità del suolo e della muratura. Per quanto riguarda le “connessioni interne”, cioè tra sole membrature lignee se pur di diverso ordine, si è potuto appurare che tutte le connessioni visibili o raggiungibili per un’ispezione, sono del tipo “a mezzo legno” oppure con l’ausilio di chiavarde a vite. Si può ritenere, quindi, con una certa tranquillità che verosimilmente anche le altre connessioni non ispezionabili siano dello stesso tipo.

Testi del dott. Roberto Romani

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