Profili storici più o meno completi e più o meno organici, della Marsica sono stati tracciati dal 600 fino ad oggi, da numerosi storici e studiosi locali a cominciare dal Febonio e dal Corsignani (attenti però più alla realtà religiosa ed ecclesiastica ella zona che a quella economica e civile) , per passare al Di Pietro al Brogi allo Sclocchi, fino alle più recenti pubblicazioni, di carattere specialistico e settoriale, tra queste ultime di particolare rilievo appaiono i lavori di Cesare Letta sugli antichi abitatori del Fucino e sui confini della Marsica in età romana; Raffaele Colapietra sulla Celano post medievale e sulla Fucino post Prosciugamento; di Giulio Jetti sulle vicende politico amministrative sul comprensorio marsicano dal 199 al 1915; di Gaetano Squilla sulle vicende storiche e culturali sulla Valle Roveto; oltre quelli rivolti a ricostruire gli avvenimenti dei singoli centri abitati, Come Avezzano e la sua storia di Giovanni Pagani e la storia di Villavallelonga di Leucio Palozzi.
Non occorre ricalcare le orme tracciate con competenza dagli storici marsicani, essendo sufficienti le opere sul mercato per poter aver ben chiari i lineamenti fondamentali della << historia rerum>> locale. Quel che conta invece è sottolineare alcuni motivi di riflessione, indispensabili per comprendere come la Marsica sia stata; e lo sia ncora oggi almeno per determinati aspetti; del tutto atipica in rapporto ad altre zone dell’Abruzzo, compresa la restante parte della provincia dell’Aquila, cui la Marsica appartiene amministrativamente.
Il primo elemento da prendere in considerazione è quello; Già messo in evidenza da molti cultori di storia Patria; dell’originalità della stirpe marsa (divenuta simbolicamente nel passato italico e persino in epoca romana, espressione di cultura extra latina e persino antiromana, capace di produrre miti come quelli dei serpari e dei maghi o, quello di gente forte e invincibile, e di costituire motivo di aggregazione tale, da condizionare le vicende e strutture amministrative politiche della restante regione abruzzese, per più secoli definita non con il moderno nome di Abruzzo, ma con quello più noto e temibile di “regione” o “provincia marsa”.
I romani erano soliti dire di non aver mai celebrato un trionfo “né contro i Marsi né senza di loro”.
E come gruppo etnico unitario venivano considerate da Roma tutte le popolazioni abruzzesi dell’interno, le qulai, almeno fino alla guerra sociale o guerra Marsa, fornirono alla capitale i migliori soldati del suo esercito e furono sempre incrollabili nella loro lealtà.
I marsi, dunque, il cui nome deriva probabilmente dal quello della divinità della guerra, Mavoros in umbro e Mars in latino, costiruirono l’elemento di forza dello stato romano nella regione appenninica, poichè erano essi a controllare il principale passo sulle montagne dell’Italia centrale, quello di Forca Caruso.
Insieme con loro, i romani si sentivano tranquilli, così come contro di loro (durante la guerra sociale) Roma sentì per la prima volta di correre davvero un grande pericolo.
<< A giudicare dalle scarse reliquie del loro vernacolo – ha scritto il Salmon – i Marsi probabilmente appartenevano al ramo umbro degli italici.
Essi erano un popolo di pastori nella quasi totalità, noto per il frugale e puritano tenore di vita soprattutto per il gran coraggio in battaglia.
Essi erano anche esperti in incantesimi, pratiche medicinale e magia, e quasi sicuramente erano molto abili nell’arte di incantare i serpenti: è significativo il fatto che la divinità che più di tutte riscuoteva la loro ammirazione era Angizia, la guaritrice dai morsi dei serpenti >>.
Ad ogni modo più che parlare della storia antice – ampiamente trattata da eminenti studiosi con l’ausilio di numerose fonti classiche _ conviene soffermarsi su un secondo elemento, quello della peculiarità geografico-culturale della Marsica dal medioevo fino all’età moderna, peculiarità che scaturisce e dalla posizione eccentrica di questa zona rispetto all’Abruzzo vero e proprio, e dalle particolari vicende che hanno avuto come sfondo unico e irripetible il territorio marsicano.
Si pensi – tanto per citare alcuni esempi – alla notissima battaglia di Tagliacozzo, per effetto della quale cambiò il volto e la natura di tutto il meridione d’Italia; all’importanza dei conti di Celano e dei duchi di Albe e Tagliacozz, i quali rappresentarono per secoli il baluardo feudale epiù granitico che la storia d’Abruzzo ricordi, sia di fronte alla politica espansionistica del Papato o delle potenze nord europee, sia di fronte alle esigenze eccentratrici del Regno di Napoli ( dagli svevi agli Angioini, dagli aragonesi algi spagnoli, dai vicerè austriaci ai borboni della seconda metà del settecento); al significato di rivolta sociale – antifeudale, antispagnola e antiborghese -assunto dal brigantaggio marsicano nei secoli XVI° e XIX°, da Marco Sciarra e Fra Diavolo; alla posizione di ultima frontiera Borbonica, che la Marsica rivestì negli anni immediatamente succesivi all’unità d’Italia, nel periodo della reazione antipiemontese, all’isolamento geografico( e quindi logistico e strutturale) del territorio marsicano fino al secolo scorso, essendo questa zona al di fuori delle “vie commerciali” degli Abruzzi( quali erano, invece, L’Aquila Lanciano Vasto Puglie); alla mancanza di Città “Demaniali” (Numerose altrove: si pensi all’Aquila, a Teramo a Chieti, alla stessa Sulmona); alla sviluppo di rapporti economico culturali più accentuati con Roma e con l’Agro romano che con le Puglie e con la stessa Napoli,e alla conseguente presenza egemonica della Chiesa di Romao di alcuni ordini monastici, in primo piano i Benedettini di Montecassinom Farfa e Subiaco.
La storia della Marsica – per lo meno fino al 1806, anno di abolizione dei feudi per opera di Giuseppe Bonaparte- è la storia di due ( all’inizio anche tre) grandi feudi di Albe-Tagliacozzo e di Celano. Mentre Aquila sviluppava le proprie caratteristiche di città borghese e mercantile, mentre Sulmona sempre più evidenziata come Città nobile e culturalmente avanzata, la marsica viveva il suo secolare dramma di isolamento feudale, rotto esclusivamente dalla lotta fra signori, dai conflitti tra potenti ordini religiosi, dal rovinoso passaggio di truppe straniere; e ravvivato da pestilenze e carestie, alluvione del Fucino e terremoti, senza un centro urbano capace di aggregare intorno a sè popolazioni circostanti, senza nemmeno quella contrapposizione ( sociale ed economica ) tra campagna e Città ( che caratterizzava, e in parte, caratterizza tutt’oggi ) le restanti zone dell’Abruzzo.
nel medioeva durante la Dominazione dei Goti e quella successiva del Longobardi ( i quali ultimi avevano diviso l’Abruzzo in “gastaldati” aggregavano la regione dei Marsi al ducato di Spoleto ) la signoria della zona era stata affidata a uomini di origine marsa: Romualdo nell’801 e posteriormente Suabilo. << Con la conquista franca dell’Italia Longobarda – Ricorda la Todini – intorno al nucleo dell’antica provincia Valeria furono ammessi i territori abitati dai frentani, dai Marrucini e dai Piceni-Petruzi (l’Aprutinum); tale aggregazione – pur faendo ancora parte del ducato di Spoleto che continuò come ducato franco – prese il nome di provincia dei Marsi e nell’843 fu innalzata a contado autonomo sotto al giurisdizione di Conti dei Marsi eletti dall’imperatore >>.
I rami della dinastia del Gran Conte dei Marsi – nome che assume verso la metà del secolo decimo il signore della provincia – fondarono vari “comitati” eredtari distinti, ai quali, soggetti più di nome che di fatto al duca di Spoleto, si deve il mantenimento del nome nel medioevo e una valida resistenza alla scorrerie ed alle prime incursioni normanne. Dunque già la Marsica svlgeva la funzione di Cerniera o di barriera difensiva tra Nord e Sud della Penisola, tanto da riusire, almeno per qualche decennio, a sostenere l’urto dell’invazione normanna. Solo più tardi, a causa delle discordie interne, gli invasori poterono sconfiggere e occupare singolarmente i vari contadi: << Spogliato così la maggior parte dei territori – prosegue la Todini – costretti ad alienarne ed a subinfeudarne altri per sopperire alle gravose imposizioni dei nuovi padroni, i conti dei Marsi dovettero riconosce il gioco dei normanni, signori delle province meridionali, e nel 1142, con la definitiva conquista della regione ad opera di Ruggiero II° , che ottenne l’investitura dal Papa Adriano IV° vel 1156, la Provincia dei Marsi cessò di esistere e prese il nome di Valle dei Marsi >>. Fu da quel momento che la Marsica sitrovò divisa tra le contee di Albe, Tagliacozzo e Celano.
In epoca sveva erede di tutti i feudi fu Pietro di Celano il cui successore Tommaso, ribellatosi a Federico II°. prvocòla reazione dell’imperatore, il quale distrusse Celano e ne mando in esilio gli abitanti. Dal XIV° secolo in poi la storia marsicana si ipernia sulle vicende dei suoi tre centri più importanti Albe, Tagliacozzo e Celano ( quest’ultima, ricostruito qualche anno dopo la sua distruzione, in luogo non molto lontano da quello originario ).
Albe e Tagliacozzo, dopo interminabili lotte fra le due famigli Romane degli Orsini e dei Colonna, si riuniscono definitivamente nel XVI° secolo sotto la famiglia dei Colonna, trasformandosi da contea in ducato ( o meglio, in “stato di Tagliacozzo” ) e conservando tale struttura sotto gli spagnoli, Gli Austriaci, I borboni, sino alla rivoluzione francese e all’occupazione napoleonica del Regno di Napoli.
Celano dopo una breve signoria dei Colonna, passa ai Piccolomini, quindi ai Peretti, ai Savelli, ai Cesarini e agli Sforza-Bovadilla, il cui dominio feudale termina nel 1806 in seguito ai provvedimenti di Giuseppe Bonaparte. E’ proprio in quella circostanza che , per la prima volta, si vede negare alla marsica il riconoscimento ufficiale di una sua ben precisa fisionomia geografica, culturale e amministrativa, spezzettando il suo territorio, che viene assegnato in parti uguali all’Aquila, a Sulmona e a Cittàducale.
Ma il riconoscimento dei secolari diritti dei Marsicani non tarda a venire, nel 1811 si costituisce il distretto Marsicano, con capoluogo Avezzano che comincia ad emergere come “Città centrale della Valle Marsicana e quella Roveto,
situata in una vasta pianura con buoni edifizi, e che altre la coltura della popolazione vi concorrono le circostanze di essere Città di molto commercio, abbondante, con mercato settimanale. L’Ottocento con i sui moti rivoluzionari prima e con le drammatiche traversìe connesse all’unità d’Italia, vede la Marsica accostarsi, Forse per la prima volta, al resto della regione e partecipare anch’essa al moto di rinnovamento culturale e politico della penisola.
Ma si tratta, in realtà, di una partecipazione elitaria, di pochi borghesi illuminati, cui si contrappone ( e le vicende del brigantaggio post unitario lo confermanao ) la quasi totalità della popolazione, culturalmente e moralmente distante dalle problematiche risorgimentali.
Sola verso la fine del secolo con il prosciugamente del lago Fucino realizzato dal principe Alessandro Torlonia, la Marsica muta fisionomia: e si tratta di un cambiamento radicale, quasi di un capovolgimento, per effetto del quale si sviluppa in modo macroscopico il centro urbano di Avezzano, che togli non solo il primato economico, politico e culturale ai tradizionali centri di Celano e Tagliacozzo ( e, qualche anno dopo la sede episcopale a Pescina ), ma ribalta i rapporti di forza nell’ambito della provincia di L’Aquila, sostiuendosi al capoluogo nel ruolo di centro trainante sia sul piano economico, sia sul piano sociale e politico.
Il disastroso terremoto del 1915 non più frenare l’irresistibile ascesa di Avezzano, che nel giro di pochi anni non solo raddoppia o triplica il numero di abitanti che aveva prima del 1915, ma si pone all’avanguardia in diversi settori: da quello delle riforme sociali ed economiche, con le lotte del 1950 e l’istituzione dell’Ente Fucino ( In seguito, “Ente Regionale Sviluppo Agricolo” ), a quello della tecnica con l’introduzione di metodi razionali per la coltivazione del Fucino, a quello della più avanzata e raffinata tecnologia con l’installazione degli impianti di Telespazio.
In conclusione si può a ben diritto affermare che la Marsica, sia nei tempi a noi molto vicini, si è sempre contraddistinta per una sua evoluzione del tutto autonoma dal resto della provincia dell’Aquila.
E le conseguenze di questa separazione ( di carattere storico ma anche antropologico, morale, economico e strutturale) permangono ancora oggi, pur se attenuate dall’apertura di linee ferroviarie e autostradali, dalla riforma agraria e dallo sviluppo industriale.
Testi del prof. Angelo Melchiorre