L’anfiteatro

Tratto da Alba Prope Fucinum Lacum
( Testi a cura della prof. Roberta Cairoli illustrazione del pittore Pietro Pernarella )

Fra gli edifici per lo spettacolo, l’anfiteatro occupa un’area a sud della città Perfettamente inserito nel tessuto urbanistico, il suo orientamento è identico a quello degli assi viari e degli isolati, con una via parallela a via del Miliario, che lo raggiunge da nord. Interamente ricavato nella roccia, raggiunge le seguenti dimensioni: m. 96 di lunghezza e m. 79 di larghezza. Larena interna misura m. 64×37. Dalle dimensioni si può ipotizzare che poteva contenere un numero di spettatori pari a circa un migliaio. Due gli ingressi che, attraversando le gradinate, permettevano l’accesso all’arena, perfettamente in asse fra loro e coincidenti con l’asse maggiore dell’ellissi.

Attualmente l’ingresso nord-ovest, appare ricostruito a seguito di un restauro successivo agli scavi, mentre l’ingresso sud-est è originario.. Essi si presentano come corridoi di m. 19.53 di lunghezza per una larghezza che va da m. 4.40 circa all’entrata e m. 3.20 verso l’arena. Le pareti del corridoio settentrionale, sono realizzate in opera quasi quadrata di grandi blocchi di calcare a paramento dì un nucleo cementizio che àncora i blocchi direttamente alla roccia tagliata. Il corridoio sud è realizzato utilizzando un’opera poligonale con blocchi di piccolo taglio, alcuni dei quali con incavi per la messa in opera.

Gli angoli delle murature sono sempre ottenute con rinforzi in opera quadrata. I due terzi della lunghezza di ciascun corridoio dovevano essere coperti a volta, come attesta la cornice a livello dell’imposta realizzata con una serie di pietre squadrate (il corridoio settentrionale presenta la volta come intervento di restauro) e la volta, nelle facciate, era decorata con un arco realizzato in opera quadrata e conci. Verso l’arena, per una lunghezza di circa m. 7, il corridoio era scoperto.

All’altezza dei termine della volta, due scalinate, poste ai lati del corridoio, permettevano l’accesso alle gradinate superiori. L’epigrafe rappresentata nella tavola fu rinvenuta nei pressi del Foro, sulla via Valeria; si legge: – – PLE – – – ESIA … M . S – – – MARC.. / GLADIATORVM. PAR (ia) / INCOLONIA. ALBA. FVC. / ADIECTA. VENATIONE. / LEGITIMA. EDIDERV (nt) e parla di spettacoli gladiatori indetti ad Alba. L’iscrizione, dai caratteri epigrafici, si data alla metà del II° sec. d.C. e conferma il nome tradizionale della città, Alba Fucens, rivendicata come colonia (sebbene fosse divenuta municipium dopo la guerra sociale) per apparire come emanazione del potere centrale, come ci tramanda anche Aulo Gellio..

Ingresso meridionale

L’ingresso meridionale taglia direttamente le mura di fortificazione e non ha subito interventi ricostruttivi come quello settentrionale. In questo caso i blocchi in opera poligonale utilizzati come paramento di un nucleo cementizio sono di piccolo taglio e, in alcuni casi, presentano incavi per la messa in opera. L’entrata e l’uscita del corridoio ad imbuto sono segnalati dai pieditti in opera quadrata che dovevano, originariamente, sostenere la volta. Le due scalinate, poste ai lati del corridoio, che portavano alle gradinate superiori sono appena sbozzate e non presentano lisciature sulla superficie; per tale motivo si può supporre che, in questa parte del complesso da spettacolo, i lavori non furono mai portati a termine.

L’arena

L’arena, al momento dello scavo, era perimetrata da lastre di pietra rettangolari con lati lunghi ad arco di cerchio, collegate fra loro da grappe di ferro inserite negli appositi incavi. Su questo bordo era incassata un balaustra realizzata con grandi lastre monolitiche squadrate e lisciate, alte due metri e leggermente rastremate verso l’alto (spessore alla base cm. 25, spessore alla cresta cm. 25). Al momento della messa in luce dell’anfiteatro, tali baltei conservavano ancora tracce di intonaco rosso pompeiano. Delle gradinate restano solo pochi blocchi lapidei (cm. 68×36 di altezza) poiché il monumento era stato già in antico espoliato per la costruzione di edifici di epoca alto-medievale.

La cavea era interrotta ad intervalli regolari da scale che permettevano l’accesso alle gradinate superiori, mentre in numero di quattro sembrano essere stati gli anelli di percorrenza di questo settore aperto al pubblico. Nella parte occidentale della balaustra si apre una serie di ingressi direttamente collegati con un cunicolo sottostante la gradinata ovest, che doveva fungere da corridoio di servizio per il personale e gli animali utilizzati durante gli spettacoli.

Sulla facciata interna ed esterna dell’ingresso settentrionale è stata ricollocata un’iscrizione doppia, che illumina sull’epoca della costruzione e ci fornisce il nome del personaggio che finanziò i lavori di costruzione dell’anfiteatro: Q(intus) NAEVIVS Q(uinti) F(ilius) FAB(ia tribu) SVTORIVS MACRO / PRAEFECTVS VIGILVM PRAEFECTVS PRAETORII / TI(beri) CAESARIS AVGVSTI TESTAMENTO DEDIT = Quinto Nevio Sutorio Macrone, figlio di Quinto, della tribù Fabia, prefetto dei vigili, prefetto al pretorio sotto Tiberio Cesare Augusto, lasciò in testamento (il denaro per la costruzione dell’anfireatro).

Questo personaggio è ben noto alla storiografia: originario di Alba Fucens, come indica l’appartenenza alla tribù Fabia, fu dapprima prefetto dei vigili (capo di un corpo di polizia con funzioni simili a quelle dei nostri vigili urbani e vigili del fuoco), quindi, a conclusione di una carriera politica di successo, fu nominato prefetto del pretorio al posto di Seiano, da lui arrestato per ordine dell’imperatore Tiberio, condannato a morte ed il suo corpo gettato dalle Gemonie, una rupe sul Colle Capitolino, da dove venivano gettati i corpi dei condannati a morte destinati ad essere lasciati insepolti. Da Tacito (Annali VI, XI-VIII) sappiamo che Macrone fu scelto da Tiberio per uccidere Seiano perché “peggiore di lui”.

Ed, in effetti, in qualità di prefetto al pretorio diresse violente persecuzioni contro i familiari e gli amici di Seiano e, ritiratosi Tiberio nella sua villa di Miseno, si assicurò il completo controllo dell’Urbs ponendo a capo delle coorti dei vigili il suo amico Graecinius Laco. Morto, però, Tiberio il 16 marzo del 37 d.c., il suo successore Caio Caligola lo destituì dalla carica di prefetto del pretorio e lo relegò in Egitto, a capo di questa prefettura. Dopo circa un anno, Caligola portò contro di lui e contro la moglie Nennia delle accuse così violente, che se fossero state pronunciate in tribunale gli avrebbero di certo comportato una condanna a morte con la conseguenza della confisca di tutti i beni. Infatti il diritto romano prevedeva che, in caso di condanna a morte, al condannato venissero confiscati tutti i beni e gli fosse negato il diritto alla sepoltura.

Solo in caso di suicidio precedente la condanna, l’imputato poteva lasciare disposizioni riguardo i propri beni e indicazioni relativamente ai funerali. La nostra iscrizione con l’espressione “testamento dedit” ci informa che Macrone scelse la formula del suicidio (nel 38 d. C.) e che nel suo testamento destinò una parte dei suoi beni per l’edificazione dell’anfiteatro di Alba Fucens. E’ verosimile che il monumento non sia stato realizzato sotto l’impero di Caligola, ché non avrebbe potuto tollerare l’erezione di un monumento a ricordo di un suo perseguitato. Inoltre la stessa menzione del solo nome di Tiberio e non quella di Caligola lascia presumere che l’anfiteatro sia stato costruito dopo la morte di Caligola stesso, condannato poi alla damnatio memoriae.

Ricettività e servizi