Dalla Bolla di mons.Colli si puó stabilire, con quasi asso- luta certezza, quali territori fossero sotto la giurisdizione episcopale, senza rivendicazioni esterne o vertenze in atto. I benefici assegnati al Seminario provenivano, infatti, dai seguenti paesi: Aielli, Aschi, Bisegna, Carrito, Cerchio, Collelongo, Collarmele, Gioia, Lecce, Ortona, Ortucchio, Pescasseroli, Pescina e S.Sebastiano.
E — fatto curioso — tale Bolla porta la data topica di «Da- tum in Palatio Avezani n.rae Residentiae ad praesens» (dato nel Palazzo di Avezzano, nostra attuale residenza), il che fa pensare al trasferimento del Vescovo in una sede provvisoria (quella di Avezzano, appunto), in attesa della costruzione di un decente episcopio nella cittá di Pescina (20). E che tale episcopio mancasse, é dimostrato dalle dichiarazioni dello stesso mons.Colli, il quale solo nel 1595 potrá scrivere che «il Palazzo episcopale lo scorso anno é stato adattato a comoda abitazione del Vescovo vicino alla chiesa Cattedrale, giacché prima non c’era affatto abitazione per il Vescovo» (21).
Tra le localitá non riportate nella Bolla di Matteo Colli ve ne erano numerose, che dipendevano sicuramente dalla diocesi dei Marsi (lo stesso Colli aveva effettuato nel 1563 la «Visita Pastorale» a Scurcola e, prima di lui, nel 1521, mons.Giacomo Maccafani aveva visitato Albe, Magliano, Marano, Roccacerro, Sante Marie e Verrecchie). Ma ció non toglie che, molto spesso, le vertenze locali diventassero anche motivo di contestazione all’autoritá del Vescovo, specialmente nelle zone piú lontane da Pescina, e perciò piú difficilmente controllabili, o in quelle localitá dove qualche altro potere (ecclesiastico o civile) poteva ben tenere testa a quello episcopale. Quindi, si puó dire, con buona approssimazione, che solo dal secolo XVII in poi si estende e si consolida l’ambito giurisdizionale del Vescovo dei Marsi, sia attraverso la risoluzione di alcune vertenze con Montecassino e con Farfa, sia attraverso l’aggregazione al Seminario di altri benefíci (come quello di S.Pietro d’Albe, S.Antonio delle Fratte in Avezzano, S.Francesco e S.Egidio in Scurcola) (22).
Ma torniamo per un attimo indietro, e precisamente alla questione del trasferimento della cattedrale da Marsia (o Valeria o, anche, «Civitas Marsicana») a Pescina. In genere, gli storici, i cronisti e persino i Vescovi nelle loro relazioni ad limina accennano alla distruzione della cittá di Valeria, avvenuta — secondo la tradizione — in tempi assai antichi, tanto che il trasferimento della diocesi sarebbe stato effettuato giá al tempo di Pasquale II (anno 1115), se non prima (23).
Mons.Francesco Bernardino Corradini, nel 1700, così scriveva agli «Eccellentissimi e Reverendissimi Padri» della Sacra Congregazione:
«[…] Dopo la distruzione di questa cittá [Valeria], la sede con la residenza fu trasferita — come dicono — da Pasquale II nella cittá o castello di Pescina, come il piú vicino, dove si celebravano le funzioni solo per mezzo di un Arcidiacono, unica dignitá, coadiuvato da dieci Canonici. Convivevano insieme il Vescovo e i Canonici anticamente in detta cittá di Valeria; poi, compiuta la traslazione, si dice che fosse intervenuta tra Vescovo e Canonici la divisione dei terreni e dei beni stabili, una volta possesso comune, di cui anche ora la metá possiede il Vescovo, l’altra i Canonici» (24).
Tale affermazione, piú volte ripetuta nel passato e, spesso, ripresa anche in tempi recenti, appare destituita di ogni fondamento, almeno per due ragioni:
1) perché, nelle pergamene dell’archivio diocesano (Bolle pontificie o vescovili) Pescina non appare se non molto tardi come sede di diocesi: il primo documento ufficiale in cui appare il nome di Pescina come residenza del Vescovo é del 1431, quando il vescovo Saba scrive «Datum Piscinae in domo nostrae ad praesens residentiae». (E, d’altra parte, ancora nel 1577 la Bolla di erezione della Confratemita di S.Maria delle Grazie in Corvalora di Cerchio viene datata da mons.Giambattista Milanese «sub protectione Cathedralis Ecclesiae S.Sabinae») (25);
2) perché — come risulta da altri documenti — l’anno dell’effettivo spostamento del Capitolo e del Vescovo da S.Sabina in Marsia a S.Maria delle Grazie in Pescina non puó essere anteriore al 1230, quando «Marsia era ancora intatta»; ed è, probabilmente, posteriore perfino al 1361, anno nel quale — secondo il Di Pietro — sarebbe avvenuta la «totale rovina» di Marsia stessa. E c’è da aggiungere che le reliquie di S.Berardo, custodite in S.Sabina, rimarranno nella loro sede originaria fino al 1470, quando il vescovo Francesco Maccafani le fará solennemente trasportare nella nuova residenza (26).
Esiste, è vero, un «diploma» o «privilegio» di papa Lucio III, risalente al secolo XII (forse 1181), in cui si fa riferimento alla chiesa di Pescina; ma, tutt’al piú, esso puó dimostrare l’esistenza di una chiesa in Pescina, e non certamente che la residenza vescovile fosse giá in questa cittá (27). II primo a mettere in dubbio l’antichitá del trasferimento fu il vescovo Federigo De Giacomo, che nel 1874, nella sua relazione ad limina, affermava: «[…] si dice che la traslazione del Vescovo, dei Canonici e della Curia era avvenuta quattro secoli prima [prima del 1580, N.d.A.]; ma questo calcolo cronologico é esagerato, e contraddice alla veritá storica, come si puó facilmente dimostrare» (28).
A conferma di quanto scritto da mons.De Giacomo e di quanto da noi finora sostenuto, vi sono le date topiche dei piú antichi documenti dell’archivio diocesano. Prima del 1431 (anno in cui il vescovo Saba scriveva da Pescina), nessuna pergamena porta l’indicazione di Pescina. Vi si parla solo di «Ecclesia Marsicana», e i luoghi dai quali il vescovo emana le proprie Bolle sono o Roma (come nel caso di Marcello Crescenzio, di Francesco Micheli e di Nicola Virgilio) o Aielli (come nel caso del vescovo Gentile: «Data Agello in Camera nostra») (29).
È evidente, quindi, che, pur non potendo stabilire con esattezza la data in cui avvenisse di fatto il trasferimento da Marsia a Pescina, é sicuramente da escludere il 1115, come sicuramente è da escludere tutto il secolo XIII.
Tuttavia, è possibile comprendere come mai sia stata avanzata, ed accettata dai piú, l’ipotesi da noi rifiutata. Nel secolo XII, infatti, per effetto di contese civili e politiche nella Marsica, «l’autonomia del Vescovo andó indubbiamente a ridursi» — come scrive Raffaele Colapietra — «e Celano poté sostanzialmente vedere soddisfatte le sue aspirazioni, se non altro attraverso il provvisorio trasferimento della diocesi, intorno al 1170, da Marruvium [l’antico nome di Marsia, N.d.A.] a Pescina» (30). Ma lo stesso Colapietra ricorda il successivo rilancio di Marruvium, «dove tornano vescovo ed abitanti, con relativi palazzi e baluardi fortificati in direzione di Venere, e nella cui cattedrale di S.Sabina é ospite nel 1287 lo stesso papa Onorio IV» (31).
L’unico dato su cui non si puó discutere, dunque, è la Bolla di traslazione del 1° gennaio 1580, che comincia con le parole «In suprema dignitatis Apostolicae specula» ed una cui copia si conserva ancor oggi nell’archivio diocesano di Avezzano. Questa bolla fu munita di «regio assenso» il 6 marzo del 1630 e in essa si diceva, fra l’altro, che Pescina sarebbe stata sede provvisoria del vescovo fino a quando non fosse stata restaurata S.Sabina («donec Civitas et illius Cathedralis Ecclesia denuo restauratae, et ad debitum vel commodum statum redactae fuerint») (32).
Mons. Federigo De Giacomo così commenta questo punto della Bolla:
«[…] II donec, che si legge nella suddetta Bolla, non è an-cora venuto. La chiesa di S.Sabina, ridotta alla quinta parte della sua primitiva grandezza, fu spogliata del campanile e delle campane, e fu privata di tutto il resto sia per la nuova costruzione della chiesa di S.Berardo, sia per una migliore sistemazione della nuova cattedrale di S.Maria delle Grazie. Conserva, tuttavia, ancora qualche traccia del suo originario splendore, come quella che mostra un vestibolo marmoreo e come la facciata anteriore formata di pietre squadrate; ma, privata quasi di ogni culto per le ingiurie dei tempi e dei barbari, e dilapidata giorno per giorno dalla sacrilega aviditá della gente, oggi fa quasi pena» (33).
NOTE