IL FUCINO (il mulino de le “paludi”)

La zona di ”Le Paludi” 6 ben conosciuta nel panorama archeologico nazionale per la scoperta, avvenuta alla meta degli anni ’80, di un importante insediamento databile all’età del Bronzo finale (XIII-X secolo a.C.). Gli scavi archeologici (d’Ercole 1991, pp. 174-198), condotti negli anni seguenti, hanno portato alla luce i fragili resti di centinaia di pali lignei riconducibili a questo villaggio. Si e potuto constatare, inoltre, l’esistenza di una frequentazione più antica che risale almeno al Bronzo medio iniziale (XVII secolo a.C.). In questo quadro storico cosi ricco e variegato si sono realizzate le trincee esplorative propedeutiche alla posa in opera del condotto del metanodotto Bussi-Roccasecca. Le prime indagini archeologiche’ risalgono all’inverno 1997, quando, nel corso di un limitato saggio di scavo, si rinvennero tracce di una struttura realizzata con blocchi calcarei accuratamente squadrati, posti in opera insieme a grosse travature e palificazioni lignee.

Tra di esse giaceva un monossile, che ad una prima ricognizione e parso essere una piroga afFondata nei pressi di un molo. Il secondo, e più approfondito, intervento di scavo si e protratto dal 4 maggio al 3 giugno 1998. In questa occasione e stata aperta un’area di scavo più vasta di forma approssimativamente rettangolare, per una superficie di circa 350 mq ed una profondità, rispetto al piano di campagna, di circa 2,40-2,50 metri. L’indagine si prefiggeva di verificare la consistenza e l’estensione delle strutture già poste in luce nel precedente saggio esplorativo, di comprenderne la reale funzione e, ovviamente, la sua evoluzione storica.

Una volta asportato il livello agrario superficiale (US 1) si e presentata una sequenza stratigrafica composta essenzialmente da strati orizzontali di torba alternati a livelli di sabbie lacustri: al di sotto dell’arativo si rinviene uno strato (US 234) di circa 65-70 cm formato da limi sabbiosi grigi con la presenza di una forte componente organica, rappresentata da radici e fusti di piante palustri, tanto che al suo interno si potrebbe quasi distinguere un ulteriore livello, composto quasi esclusivamente da radici rossastre. Segue l’US 236, un livello torboso di colore bruno, spesso circa 20-25 cm, che testimonia un periodo di impaludamento dell’area prossima alla sponda settentrionale del lago del Fucino. Sottostante a tale livello di torba, uno strato sabbioso, grigio, della potenza di pochi centimetri (US 237) indica, invece, un momento di breve innalzamento del livello lacustre. Verso il basso, la sequenza stratigrafica continua con un pacco di torba nera (US 238) spesso, in media, trenta centimetri che copre un ulteriore livello con matrice sabbiosa, di colore grigio, di circa 15 centimetri.

Il deposito indagato termina, verso il fondo dello scavo, con un livello di ghiaie fluviali (US 240) composte da clasti arrotondati del diametro medio di 1-1,5 cm, rinvenuto solo in corrispondenza della struttura, dove, al centro di essa, acquista uno spessore di circa 15-20 centimetri. Da segnalare, infine, la presenza, alla sommità della sequenza stratigrafica, dell’incisione (US 231) di un discreto corso d’acqua (largo circa tre metri e profondo settanta centimetri) che ”taglia la testa” dell’US 234. Il suo riempimento e costituito da livelli di ghiaia e pietrisco adagiati sul fondo (US 232), coperti da un deposito torboso con scarsa matrice limosa (US 233). AI termine dell’ampliamento dell’area di scavo si e potuto constatare che le strutture rinvenute occupavano una limitata porzione del settore indagato senza che, intorno ad esse, si sia potuto rinvenire evidenze riconducibili alle testimonianze già emerse. Si è potuto osservare, inoltre, che i blocchi in opera quadrata, i pali e le travi lignee del manufatto medievale avevano una collocazione stratigrafica in fase con i livelli interessati dal paleosuolo US 234 e dal corso d’acqua US 231; che le unita stratigrafiche sottostanti (US 235-239) erano, in realtà, tagliate da questi manufatti; che almeno i blocchi di pietra squadrati poggiavano sull’ US 240 e che, infine, questi erano stati posizionati in modo tale da creare una sorta di protezione perimetrale di un’area rettangolare, infossata, all’interno della quale si trovava un tronco scavato al suo interno (US 211).

I blocchi in opera quadrata di prima età imperiale (US 205-209), formavano un angolo retto e costituivano il lato settentrionale ed occidentale della sostituzione. Uno di essi (US 208) era posto su un ulteriore blocco calcareo modanato (US 220) che fungeva da base, e presentava sulla faccia superiore un incasso a ”L” realizzato trasversalmente al momento del reimpiego. Il blocco 207 aveva una modanatura architettonica sulla faccia orientale e appariva imbrigliato da tre pali che lo a Biancavano. I blocchi 205 e 206 erano, invece, visibilmente inclinati verso L’area rettangolare a causa della spinta del terreno. In origine questi elementi lapidei appartenevano ad un mausoleo romano, verosimilmente, ubicato lungo la via consolare Tiburtina Valeria distante dallo scavo poco più di cinquecento metri. II lato orientale del bacino rettangolare era formato da una poderosa trave ricavata da un tronco di quercia (US 204), lunga 378 cm, larga in media 40 cm e spessa, nel punto più conservato, circa 35 cm. Nel suo spessore erano stati praticati tre fori passanti, quadrati, in cui erano inseriti dei pali verticali di sezione ugualmente quadrangolare. All’estremità meridionale della trave si trova un alloggiamento rettangolare (rinvenuto vuoto) munito, al lato, di un piccolo foro quadrato in cui doveva essere inserito un perno di fissaggio. Alle testate della trave sono stati rinvenuti tre massicci pali quadrati di ancoraggio, sempre in legno di quercia, alti, nella parte conservata ”fuoriterra”, circa 130 cm e larghi, verso la base, 40-45 cm.

Il loro stato di conservazione si presentava buono nella parte inferiore, mentre, verso l’alto la sezione originaria era visibilmente rovinata in quanto il legno carbonizzato era, in parte, marcito. Sul lato orientale della trave 204, a circa 90 cm da essa, si sono rinvenuti altri resti lignei: un’asse orizzontale, US 202 (lunga 148 cm era adagiata ad una quota leggermente superiore rispetto a quella di US 204) presentava due incassi alle estremità del lato orientale in cui erano inseriti due pali verticali (il primo, US 215, e stato trovato a poca distanza adagiato sulla superficie dello strato sabbioso US 239; il secondo, US 225, era ancora alloggiato in posto, e si presentava infisso nel terreno). Altri due incassi simili ai precedenti erano stati realizzati nel lato inferiore dell’asse: dovevano, probabilmente, ospitare due traverse che ancoravano il complesso – US 202, 215, 225 – alla trave 204 e, tramite questa, al resto del bacino rettangolare. Al centro della faccia superiore dell’asse 202 c’era un altro incasso rettangolare (lungo 34 cm, largo 20 cm e profondo 5 cm) che dava proprio L’impressione di essere un ulteriore alloggiamento per un altro elemento ligneo trasversale. Al complesso apparteneva anche una grossa porzione di tronco, adagiato in senso orizzontale, che si trovava ad una quota leggermente superiore seguendo un andamento parallelo rispetto all’asse 202: probabilmente costituiva un contenimento del terreno circostante. II lato meridionale del bacino rettangolare non era fornito di una protezione perimetrale come quelle degli altri tre lati: in questo punto L’area rettangolare doveva essere aperta o solo parzialmente delimitata da una qualche sorta di sbarramento. La conferma verrebbe dalla presenza di un gran numero di pietre calcaree di medie e grandi dimensioni (US 210), poste a protezione del fondo del bacino rettangolare e dell’area esterna meridionale.

E’ probabile che lo si sia voluto lastricare per proteggerlo dall’erosione causata dalla corrente dell’acqua proveniente dal canale presente alla sommità della serie stratigrafica (US 231). Presso il margine meridionale dell’area occupata dal lastricato di pietre, ma ad una quota decisamente più alta, e stato rinvenuto un lungo (m 5,30) tronco che e stato identificato come US 221. L’importanza di tale unita stratigrafica si potrebbe riassumere in due punti: il tronco ha sigillato, nella sequenza stratigrafica, l’intera struttura medievale, in quanto, sicuramente, si trattava del fusto di un albero caduto in un momento immediatamente successivo all’abbandono del complesso; inoltre ha coperto (e allo stesso tempo protetto) un ulteriore elemento ligneo (US 228) che, una volta liberato dai sedimenti, si dimostrava essere la prova definitiva per comprendere la reale funzione della struttura rinvenuta: la ruota idraulica di un mulino medievale. Il manufatto 6 formato da un assale la cui sezione, da circolare quale appare alle due estremita, va ad assumere una forma quadrata nel punto in cui si inserisce il foro centrale (anch’esso quadrato) del mozzo che sosteneva le pale mosse dall’acqua. Dopo la descrizione generale delle evidenze rinvenute, e opportuno sofFermarsi sul monossile (US 211) posto al centro del bacino rettangolare: lungo cm 303, largo cm 66, alto cm 34 e spesso in media cm 7-8, si presenta come un unico grande tronco di quercia scavato all’interno in modo da creare un grosso canale centrale, sul cui fondo, verso il margine settentrionale, era stato ricavato un foro quadrato in cui era inserito un paletto appuntito, anch’esso con sezione quadrata.

Tale paletto probabilmente assolveva alla funzione di ancorare il manufatto al terreno in modo da impedire che la forza dell’acqua corrente spostasse il tronco. L’area dello scavo ha restituito anche reperti di minori dimensioni e di vario genere: sono stati recuperati diversi frammenti di contenitori in ceramica comune, un coltellino e un piccolo punteruolo in ferro, piccoli oggetti in legno, diversi resti ossei di animali e, soprattutto, un numero considerevole di frammenti di macine in pietra lavica. Le macine hanno una forma anulare e uno spessore tra i cinque e i dieci centimetri, hanno un foro quadrato al centro e, alcune di esse hanno anche piccoli fori, sempre quadrati (4-5 cm di lato), al centro dell’anello esterno. dopo aver attentamente studiato e analizzato la funzionalità e l’inquadramento storico della struttura si può concludere che le informazioni e i dati emersi dallo scavo del mulino delle Paludi mostrano la presenza e l’esercizio di un mulino altomedievale in un’area prossima all’antica riva settentrionale del lago del Fucino nota ”da sempre” per la diffusa presenza di acquitrini.

Questa spiccata caratteristica ambientale non sembra, comunque, essere stata di impedimento per la normale frequentazione della zona: si hanno infatti testimonianze su un suo uso produttivo (coltivazione di cereali, il mulino stesso), religioso (nella chiesa di S. Maria in Palude) e di rappresentanza (il placito in favore di S. Vincenzo al Volturno, tenuto nel campo di Sancti Felicis in Palude). Il mulino era di tipo vitruviano, mosso, cioe, da una ruota idraulica verticale fornita di circa venti pale radiali. Usufruiva di un’alimentazione idrica ”per di sotto” con l’acqua che giungeva alla ruota, attraverso un canale ligneo posto sotto di essa, da una gora artificiale scavata nel terreno e alimentata da sorgenti ubicate a monte dell’insediamento produttivo. In un momento del suo ciclo produttivo il mulino ha subito, almeno, un rifacimento strutturale, come testimoniano sia le evidenti tracce di bruciato che interessano larghe porzioni degli elementi lignei portanti, sia la presenza, nei livelli basali della stratigrafia, di due tipi diversi di mole caratterizzate da dimensioni differenti (fig. 9), e ancora la diversa scala dimensionale che si riscontra tra i denti del lubecchio (fig. 10). Al momento, e prematuro formulare delle ipotesi sulle cause che hanno provocato l’incendio parziale del mulino, comunque va considerata anche la possibilità che questo si sia potuto verificare per motivi non legati ad eventi traumatici.

La datazione che emerge dal confronto della ceramica con altri contesti dell’Italia centrale induce a ritenere che la struttura fucense possa essere stata in funzione tra la fine del VI secolo e gli inizi del VII. Tale collocazione cronologica sembra essere avvalorata anche dalla tecnologia impiegata nella costruzione del mulino, di chiara derivazione romana. E suggestivo, infine, ipotizzare che il definitivo abbandono (o distruzione) del mulino, sia dovuto a motivi bellici riconducibili alla conquista longobarda di questa parte di Abruzzo, avvenuta alla fine del VI secolo.

Testi di Serena Cosentino e Gianfraco Mieli

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