IL FUCINO (dal medioevo al rinascimento)

Alla caduta dell’Impero romano D’Occidente, anche la Marsica segui le sorti del resto d’Italia: i primi invasori furono i Goti per cui da Ravenna dipesero le sorti del territorio. Ovviamente, la manutenzione dell’emissario cesso e quindi, gia nel V-Vl secolo dopo Cristo il Fucino fini per riprendersi totalmente il suo alveo. Tornarono gli allagamenti, la perdita di raccolti, bestiame, case: la miseria più terribile, in poche parole. Non sappiamo se o in quale modo Teodorico provvedesse alle necessita della popolazione lacustre: sappiamo soltanto che la successiva guerra gotico-bizantina porto danni e distruzioni.

Se, a quanto scrive Procopio di Cesarea, nel Piceno morirono di fame 50.000 persone, nella Marsica si dovette cercare riparo anche sulle montagne per cercare almeno di sopravvivere, nutrendosi di bacche, ghiande, scarsa selvaggina, non essendo sufficiente il lago a nutrire le popolazioni ed essendo le sue rive esposte al pericoli. Vinti e scomparsi i Goti nel 555, la Marsica torno romana per 15 anni, fino a che nel 568 scesero in Italia i Longobardi e il territorio dei Marsi divenne un gastaldato dipendente dal Ducato di Spoleto, il cui primo duca fu Faroaldo (571-591 c). II ducato, politicamente, ebbe uno sviluppo autonomo, anche se non mancarono in certi periodi stretti legami con il regno longobardo. Le ragioni di questa autonomia furono molteplici: prima di tutte la posizione geografica in zone impervie e inattaccabili dell’Appennino centrale e, in secondo luogo, L’isolamento dal Regno di Pavia accentuato dal corridoio bizantino fra Roma e Ravenna.

Che numerosi longobardi si insediassero sulle rive del lago, nelle città di Luco e di Penna, risulta dal ritrovamento di una necropoli nella quale erano tombe longobarde, di misura più grande e contenenti spade più lunghe di quelle italiche. I gastaldi – parola e istituzione longobarda – della Marsica amministrarono, quindi, per conto ds. l Duca di Spoleto il territorio loro affidato esercitandovi anche le funzioni di giudice; riscorsero i tributi, sorvegliarono i possessori di campagne ed ebbero inoltre la tutela della salute pubblica e dei luoghi pii della città. Nel 774 il territorio circostante al lago Fucino « portum et lacum Fucinum » fu concesso da lldebrando, duca di Spoleto, al monaci di Montecassino (Muratori, Antiq. Ital. II. 378) ma ignoriamo in quali termini fosse fatta la concessione e quali poteri vi acquistasse la Badia. Certo che la
regola di S. Benedetto, che voleva guidare i suoi monaci in un’alternativa di preghiera e di lavoro.

Presumeva che i monasteri benedettini bastassero economicamente e socialmente a loro stessi e quindi c’e da supporre che le terre circostanti al lago venissero intensamente coltivate, alleviando in tal modo le precarie condizioni economiche che della popolazione lacustre. Gia San Bonifacio IV, civitate Valeria, natione Marsorum », che fu papa dall’agosto 608 al 615 e che aveva collaborato con Gregorio Magno, il quale si doleva dell’invasione della Marsica da parte dei Longobardi durante il suo pontificato, durante il quale « famis pestilentiae ed inundationes aquarum gravissimae fuerunt » aveva nella sua città natale, trasformato la sua casa in un monastero benedettino: « domum suam rronasterium fecit ».

Una parentesi: perché il Liber pontificalis parla della città natale di Bonifacio come della « civitas Valeria »? Probabilmente, sostiene il d’Amato. fu sostituito al nome della città, S. Benedetto de’ Marsi e cioè Marruvium o Marsia, quello della provincia Valeria. 0 forse fra il Vl e il Vll secolo dopo Cristo venne dato alla città il nome di Valeria, che, comunque, non può essere stata ne la sabina Varia (Vicovaro) ne Cerfennia (Collarmele) dove non fu mai la sede vescovile, che risiedeva invece nella monumentale chiesa di S. Sabina a S. Benedetto dei Marsi. ove, in realtà, fu fondato un monastero benedettino. Nella regione marsa erano sorti importantissimi monasteri benedettini: a S. Maria di Luco, S. Pietro di Alba, S Maria di Porclaneta a Rosciolo, S. Maria di Cese e altri II Chronicon Monasterii cassinensis scritto dal benedettino Leone Marsicano, nativo di Marruvio, e di particolare interesse per la storia della conca fucente: sappiar ad esempio che nel 930, Doda, contessa dei Marsi, donò a Montecassino monastero, seicento moggi di terra (200 ettari) e la Chiesa di S. Maria di Luco; che nel 950 L’abate Aligerno di Montecassino concesse gli stessi beni in enfiteusi a Rainaldo figlio di Doda; che nel 957 furono concessi a S. Maria di Luco terreni da Paico di Paterno e Bettone di Avezzano e via dicendo. AItri documenti ci informano che un gastaIdo dei Marsi fu Romualdo che nell’801 fu presente a un giudicato tenuto dal conte palatino Ebroaldo, un altro Suabilo, cui l’Abate di Montecassino concedera nell’856 L’usufrutto dei ben, di alcune chiese della Marsica.

Frattanto, nell’819, L’imperatore franco Ludovico aveva creato la Contea dei Marsi, elevando al titolo di conti anche gli ex gastaldi di tutta la provincia Valeria. Primo conte dei Marsi fu Idelberto, tanto superbo e prepotente da essere richiamato dall’imperatore « ad reddendas hominum singulorum iniustitias et oppressiones cui seguì quella Doda, benefattrice dei benedettini, che nel 910 sposo un nipote di Carlo Magno, Lindano, figlio di re Pipino. II loro figlio, Berardo, primo conte dei Marsi, ottenne dal papa Leone Vl anche i feudi della Sabina e della provincia Valeria, ma per se trattenne solo il dominio del Fucino, con Celano e Tagliacozzo. Ebbe il merito di mettere in fuga presso Carsoli i feroci Ungheri che avevano invaso la Contea. Nel frattempo anche i Saraceni. sbarcati alle foci del Tevere, avevano, pur risparmiando il rimanente territorio, saccheggiato e devastato Alba Fucens. Celano, che occupava la parte nord del lago, fu abbandonata e ricostruita sull’altura più impervia della zona, il Monte Tino. Con la conquista dei Normanni, la Marsica rimase annessa al ducato di Spoleto. Scomparvero i grandi possedimenti monastici e al posto dei Benedettini il cui potere si era esageratamente accresciuto tanto che furono severamente richiamati da Papa Pasquale II e nel 1188 da Clemente III, subentro il clero secolare. Nel 1143 la contea dei Marsi passo ad Anfuso principe di Capua e a Ruggero duca di Puglia. Nel 1154, Guglielmo I suddivise il regno normanno e creo i feudi fra i quali la contea di Celano.

Nel 1187, da un documento, sappiamo che Rinatdo, conte di Celano, aveva in suo possesso, nel Fucino, oltre ad altre località, Celano, Pescina, Venere, S. Sebastiano; mentre Berardo, conte di Albe, possedeva Albe, Paterno, Trasacco e Luco. al Normanni subentrarono gli Svevi. Nel 1198 moriva Costanza d’Altavilla, erede del regno normanno ad appena un anno dalla morte di Enrico Vl di Svevia, suo marito, lasciando il figlioletto, il futuro Federico II, affidato alla tutela del papa Innocenzo III. Non e questa la sede per trattare delle vicende della casa sveva: certo e che ne andò purtroppo di mezzo Celano, che fu distrutta completamente per ordine di Federico II di Svevia poiché L’allora conte di Celano era stato partigiano del rivale Ottone di Brunswich. Inoltre, con la conquista normanna prima e con la casa sveva dopo, la Marsica, in quanto appartenente all’Italia meridionale, venne a far parte delle terre della Chiesa: lo stesso Federico II, nel 1212, presto un vero e proprio giuramento di fedeltà al papa Innocenzo III nel quale chiamava il papa suo signore obbligandosi a pagare il censo in riconoscimento del dominio feudale del papa.

E facile immaginare in quali condizioni si venisse a trovare il territorio del Fucino, esposto a tutte le invasioni, al passaggi di potere, alle angherie dei vari signorotti dipendenti da varie autorità, il tutto aggravato dai danni economici derivati dall’inconstanza del regime del lago; le incessanti richieste di aiuto da parte delle popolazioni rivierasche, rivolte al troppi governanti e al loro feudatari rimanevano purtroppo senza risposta. Federico II fu il primo che, dopo la definitiva chiusura dell’emissario claudiano, in seguito a una nuova grave minaccia di inondazione, diede ordine al giustiziere di Abruzzo di aprire il passaggio, attraverso L’emissario claudiano, alle acque del Fucino. Quest’ordine era stato gia dato ad Ettore Montefuscolo, che aveva preceduto nella carica L’allora giustiziere Boamondo Pisonio. L’ordine e contenuto in un diploma del 20 aprile 1240; Da che appare chiaro che Federico II – come rileva il Rinaldi – tenne distinta sul Fucino la potesta regia dalla ragione di proprieta. ordinando di fare le opere opportune per evitare inondazioni e danni, ma specificando che si sarebbero fatte a profitto « fidelium et hominum regionis ».

Ignoriamo se questi lavori furono fatti e in quale misura, ma si deve ritenere, che se pure furono intrapresi. furono di scarsa entità. Per di piu, solo dieci anni dopo Federico II di Svevia moriva. Le tristi vicende della casa sveva culminarono con la battaglia di Tagliacozzo e la tragica fine di Corradino Carlo d’Angio, il fortunato vincitore, celebrava la vittoria fondando a Scurcola L’Abbazia e la Chiesa di Santa Maria della Vittoria, che fu adornata con marmi e pietre so?tratte ad Alba. Inoltre re Carlo dono alla Madonna = Vittoria con diploma del 3 agosto 1277 anche il diritto o pescare « in partibus quas Curia nostra habet in lacu Fucino, quantum duae barcae piscari poterunt pro usu et substentatione personarum monasterii». (Archivio di Stato di Napoli, vol. 1046, proc. 92). Evidentemente una parte del diritto di pesca spettava al comuni rivieraschi se lo stesso re si poneva dei limiti « in partibus quas Curia nostra habet ». Delle condizioni del lago più nulla si sa fino all’avvento sul trono di Napoli di Alfonso d’Aragona, il quale nel secolo XV, al dire del Biondo, del Bacci e del Loschi avrebbe fatto eseguire un tentativo di riforma dell’emissario claudiano. Scrive lo Stile: « i luoghi stessi attestano le opere fatte: vi si trova un secondo e talora un terzo muro in talune parti aggiunti in sostegno dell’antico o crollato o crollante, onde che vedesi quivi nel primo caso la larghezza del vano ridotta a palmi 6 e mezzo. nel secondo a 3 e mezzo.

Ed appartengono pure ad alcune delle restaurazioni in discorso que’ molti vasi di rame e strumenti di ferro trovati nel 1829 nel fondo di due de pozzi palentini, abbandonati cola forse per la rovina avvenuta delle fabbriche inonderano que’ pozzi rivestiti ». Ma neppure allora vi dovettero essere risultati apprezzabili perché le condizioni preesistenti del lago non furono affatto modificate, anzi nella seconda meta del secolo seguente il Febonio registra una delle più disastrose inondazioni, che travolse molte case di Luco e Trasacco. buona parte di quelle di Ortucchio e fece gravissimi danni a San Benedetto.

Testi di Graziella De Florentiis

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