Testi tratti dal periodico Radar Abruzzo
(Testi a cura di Enzo Maccallini Lucio Losardo)
Percorriamo la strada che da Avezzano conduce a Sora e che si snoda attraverso la “Valle Roveto” tra catene di monti, le cui cime negli anni passati erano ricoperte di neve fino a primavera inoltrata. Una verde e lussureggiante valle attraversata dalla SS. 82 del Liri fino a Sora. Una strada tortuosa che dovrà essere sostituita da una superstrada da oltre 20 anni. Dopo tante curve e vari rischi, finalmente vediamo apparire ai nostri occhi rapiti dalle meraviglie dei luoghi, una grande roccia sulla quale troneggia un paesino: Morrea.
“Certamente in tempi difficili, come quelli medioevali, funestati da guerre e da briganti, ebbe Morrea il privilegio di una sicura e forte posizione” (1). Giunti all’altezza del Km. 31,400, troviamo una deviazione che ci porta a Morrea. Un tempo “per andare lassù la salita” era “ripida” e presentava “non poche difficoltà al visitatore che per la prima volta “intendeva “fare la conoscenza del luogo” (2). Oggi la strada asfaltata, lunga 7 km., anche se tortuosa, si percorre agevolmente. Lungo i terreni che fiancheggiano la strada guardiamo ammutoliti una ricca e verde vegetazione, ravvivata dai cespugli gialli e odorosi delle ginestre. Intorno a noi non c’è che silenzio; non incrociamo vetture. Nei pressi del paese, prima di giungere nella piazzetta, dove un pino conficcato in una botte fa bella mostra di sé, superiamo un carrettino agricolo, che procede lentamente in mezzo alla strada.
Segnaliamo con un colpettino di clacson la nostra presenza: il carrettino si sposta e gli occupanti, due uomini di corporatura asciutta con il volto abbronzato e una donna con il tipico fazzoletto sulla testa, ci rivolgono sorridenti un cenno di saluto, sigillo di antica dolcezza, caratteristico tratto di chi ha un sacro rispetto dell’ospitalità. Tutto questo naturalmente ci riporta indietro nel tempo e fa sembrare la nostra “500”, che ci conduce agevolmente su, un mezzo estremamente veloce e dinamico. A circa 100 metri dal paese, superiamo un contadino che procede lentamente accanto al suo mulo carico di fascine. Anch’egli ci rivolge un cenno di saluto. Arriviamo alla piazzetta, dove è ad attenderci, precedentemente avvertito, il sig. Giovanni Colaiacovo che, mettendosi a nostra completa disposizione, ci accompagna subito a visitare l’ormai malridotto castello Piccolomini.
Che desolazione! che abbandono! E dire che l’antico maniero è stato per molti secoli, oltre che residenza estiva dei signori dell’epoca, anche sede di un’importante guarnigione militare, pronta ad intervenire in caso di difesa del paese e della sottostante vallata. Ai piedi di Morrea si trova un paesino: S. Vincenzo Vecchio, un borgo anch’esso spopolato dall’emigrazione degli anni’50. Entriamo nella corte attraverso ciò che rimane di un’antica porta lignea, e subito ci appare una splendida facciata, ben conservata, con finestre arcuate, che un tempo dovevano senz’altro essere chiuse da magnifiche vetrate. Il nostro accompagnatore, persona che dimostra gentilezza e affabilità, ci apre, non senza qualche difficoltà, la porta d’ingresso ed entriamo nella dimora. Saliamo una ripida scala, che ha il soffitto e le pareti stupendamente affrescati, e giungiamo in una loggetta, anch’essa affrescata con immagini di personaggi in cattivo stato di conservazione. Attraversiamo alcune sale con i soffitti a cassettoni rivestiti di antica carta stampata in modo da dare l’aspetto di una stoffa dipinta a fiori. Notiamo alcuni caminetti, il tutto però in uno stato di completo abbandono.
“Purtroppo il mancato intervento delle autorità preposte al recupero artistico di un’opera cosi importante per la storia della zona, e la mancanza di una adeguata manutenzione, hanno ridotto in cattive condizioni le strutture e le rifiniture della costruzione” (3). Il castello, situato nella parte più alta del paese, in posizione sicura e dominante, rappresentò un potenziale militare notevole per quei tempi tristi e bui per la Valle Roveto dove imperversavano banditi della peggiore specie, compagnie di soldati di ventura, per non parlare poi delle varie milizie che vi transitavano. Le popolazioni della zona vi trovavano quindi un sicuro luogo di scampo. Il castello era poi collegato al paese attraverso camminamenti che consentivano ai difensori di accorrere celermente nei punti più esposti alle azioni militari esterne.
Come ogni castello medioevale anche il nostro è avvolto da leggende: streghe, fantasmi e macabre apparizioni lo rendono ancora oggi misterioso e affascinante. Nel medioevo Morrea viene citata a più riprese dagli storici. Nel 1234 viene istituito in Morrea il Giustizierato d’Abruzzo. Nel 1415 è nominata nelle lotte per il suo possesso fra le famiglie principesche romane, gli Orsini e i Colonna, che se la contendono per la sua importante posizione strategica. In seguito passa sotto la dominazione del re di Napoli. Nel 1489 la Baronia di Balsorano, comprendente anche Civita d’Antino e Morrea, diventa possesso della famiglia Piccolomini a seguito del matrimonio di Antonio Piccolomini, nipote di Papa Pio II e di Maria, nipote di Ferdinando re di NapoIi. Nel XVII secolo il geografo tedesco Cluverio (4), transitando per la Valle Roveto, vede Morrea, ne ammira il castello, e la scambia, commettendo un errore abnorme, per la mitica Marruvium.
Non abbiamo potuto visitare la chiesa di S. Sebastiano, patrono del paese, perché chiusa da tempo per restauro. Abbiamo appreso che la chiesa fu inaugurata nel 1587 con solenni cerimonie. Nel secolo scorso essa fu ampliata con la costruzione di due navate laterali. Veniva però aperta alla venerazione del popolo soltanto in occasione delle festività di S. Sebastiano (20 gennaio) e la quarta domenica di agosto. Era altresì aperta al culto soltanto dietro richiesta dei fedeli in circostanze non previste quali i cataclismi tellurici, le epidemie, le guerre ecc. A causa del flusso emigratorio, Morrea ha subito un sensibile calo demografico: 446 abitanti contava nel 1931, 426 nel 1951, 256 nel 1961, circa 64 ne contava nel 1987 (5). Questo piccolo centro appenninico ha pagato un alto tributo di sangue alla Patria: 12 caduti nella I” Guerra Mondiale, 5 nella II’. Nel lontano 11 maggio 1944, Giuseppe Testa non ebbe timore di affrontare la morte con la fucilazione pur di salvare il paese da cruenti rappresaglie.
Non volle svelare, nonostante le intimidazioni e le torture dei nazisti, i nomi dei componenti l’organizzazione clandestina operante nella valle, e il nascondiglio dove aveva trovato rifugio un soldato alleato. Il 25 luglio 1970 il giovane Franco Corradi, milite dell’Arma, fu ucciso in uno scontro a fuoco per assicurare alla giustizia un sanguinario assassino. Alla memoria di questi due eroi è stata conferita la Medaglia d’Oro. Il primo luglio dello scorso anno la “Pro Loco” (6) ha organizzato, con grande successo, la rievocazione storica dell’incontro già avvenuto nel medioevo con donne e cavalieri in costume dell’epoca, della città di Narni con gli abitanti di Morrea. Si è voluto ricordare la visita fatta nel 1377, in ricognizione dei beni, dal senatore di Roma, Bartolomeo di Narni, legato sia agli Orsini che ai Colonna, venuto come uomo di pace. La manifestazione si ripeterà quest’anno e costituirà per Morrea un tuffo nel suo passato gIorioso e un invito a scoprire questo caratteristico paesino della Marsica dove altero a scora spicca l’antico maniero di Piccolominiana memoria.
E’ tardi. Prima che incominci a farsi buio ci apprestiamo a lasciare il paese. Salutiamo e ringraziamo il nostro gentile accompagnatore. Non diciamo “Addio”, ma soltanto “Arrivederci”. Ritorneremo ancora in questo incantevole luogo dove le ore trascorrono inavvertitamente, soprattutto in primavera quando il clima moderato e gradito sia sentire con immenso piacere. Scrive L. Corradini nella sua pregevole monografia, su Morrea: Quante volte affacciandosi dal belvedere di Morrea, che scopre là in fondo l’antica Valle del Liri, i nostri padri si sono detti: “Qui staremo ottimamente”.
NOTE
(1) G SQUILLA, Valle Roveto nella geografia e nella storia. Stampato con i tipi dell’abbazia di Casamari nel 1968..
(2) E. MACCALLINI, Morrea, Piccolo paese, appollaiato su una gigantesca roccia. “Il Messaggero” 21 marzo 1953.
(3) L. CORRADI, Morrea paese mio! (1987).
(4) F. CLUVERIO (1580 1623) Umanista e geografo di Danzica, fondatore della geografia storica. Opera fondamentale: “Introduzione alla geografia universale”. (5) La situazione demografica è chiaramente riferita, a partire dalla prima metà del XVI secolo, da G. Squilla (Valle Roveto nella geografia e nella storia) e da L. Corradi (Morrea … paese mio!).
(5) Segnaliamo l’opera encomiabile che svolge la locale “Pro-loco” grazie all’interessamento dei Sigg. F. Siciliani (Presidente), L. Corradi e B. Maria Barnabò. Un particolare ringraziamento rivolgiamo alla Sig.ra Barnabò per la sua cordiale collaborazione e per i suoi suggerimenti preziosi.