Ad ogni buon conto, al di là delle opinioni personali del Bianco di Saint Jorioz, interessa vedere quali fossero gli sforzi dello Stato italiano per avvicinare a sé il clero e, nello stesso tempo, risolvere il grave problema del brigantaggio.
Nell’agosto del 1863, contemporaneamente all’approvazione della legge Pica, giungeva (a firma del Ministro di Grazia e Giustizia e dei Culti G.Pisanelli) una lettera «circolare» all’«Ordinario Diocesano de’ Marsi in Pescina». II Ministro Guardasigilli tentava di convincere il Vescovo (o chi per lui) sulla necessità morale e religiosa che il Clero collaborasse con lo Stato italiano «per la repressione del brigantaggio», e si dichiarava fiducioso che a tale repressione fossero «per contribuire con piú pronta e provvida efficacia gli espedienti morali ed in ispecie la concordia cittadina e l’opera benefica delle dottrine religiose piú sincere» (47).
Ed allora — proseguiva il Ministro — «chi potrebbe prestare un concorso piú fidato che il Clero, il quale ha tante opportunità di accostarsi ad ogni classe di cittadini, ha tanti mezzi di rendere autorevole la sua parola, e tiene obbligo preciso di essere continuo maestro degli insegnamenti di quella religione che si denomina della carità, del perdono e della pace?». Spinto dalla foga del suo zelo quasi pastorale, il Pisanelli arriva perfino a suggerire all’Ordinario Diocesano quale dovesse essere l’effettivo ruolo del clero in quella determinata circostanza:
«Vogliano i reverendissimi Ordinarii rivolgere ai Parroci ed al Clero della loro Diocesi apposite istruzioni per recarli ad opera cosí fruttuosa di carità religiosa e cittadina (…). Gli esortino a fare veridico racconto al popolo di tutte le nefandità commesse da’ briganti non solo per indurlo a una giusta detestazione delle opere loro, ma altresí per dimostrargli che unicamente con la loro repressione potranno coteste provincie tornare in calma a gioire riposatamente de’ beni che sono loro promessi dal nuovo ordine di cose voluto dal voto nazionale e dalla Provvidenza visibilmente benedetto» (48).
Le parole suadenti del Ministro, però, non bastavano a cancellare dalle menti e dai cuori non solo il risentimento, che in molti si era trasformato in rabbia, per i diritti conculcati, ma neanche il ricordo di avvenimenti (ancora vicini nel tempo), nei quali le «nefandità» dei briganti non erano nemmeno cominciate, ma si erano viste (e molti ne eran rimasti drammaticamente colpiti) le nefandezze piú atroci di soldati e di ufficiali dei corpi garibaldini o delle stesse truppe regie.
Era stato proprio in una di queste occasioni che la Guardia Nazionale dell’Aquila, scandalizzata per le «atrocità» commesse dai garibaldini a Tagliacozzo nell’ottobre del 1860, aveva voluto ufficialmente esprimere la propria protesta con il seguente proclama:
«Per l’onor suo e quello del suo paese, sente il bisogno di protestare altamente e di rigettare con isdegno la solidarietà degli incendi, delle atrocità e di qualunque vergogna commessa in Tagliacozzo, dove ha la coscienza di aver fatto nulla piú del suo dovere per reprimere una ostinata reazione armata» (49).
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