Testi tratti dal libro Storia di Opi
(Testi a cura di Andrea Di Marino)
I. Nell’Abruzzo del ‘500 e ‘600 l’area marsicana “per la particolare natura geografica e politica, era il ricettacolo di tutti i briganti romani, marchigiani, romagnoli, nonche napoletani, i quali trovavano nelle sue montagne boscose e nelle grotte naturali un rifugio ideale”. Il banditismo abruzzese del ‘500 era rappresentato dalle formazioni di fuoriusciti collegate ad Ascanio Colonna nel 1533 e dalla banda di Marco Sciarra alla fine del secolo. La sollevazione di Marco Sciarra e stata interpretata come fenomeno di ribellione contadina, tra economia agraria ed economia pastorale.
Egli si definiva “Flagello di Dio” “contra usurarios et detinentes pecunias otiosas”. La sua banda si appostava sul regio tratturo che dal Tavoliere di Puglia, attraverso le montagne di Scanno, Opi e Pescasseroli, giungeva fino a Gioia Vecchia, e li, su quei percorsi, rapinava gli armentari di questi paesi. La Gran Corte della Vicaria doveva giudicare “I furti che si commettevano in strada pubblica ed in campagna. Gli incendi cosi di case o pagliari dentro e fuori dei luoghi abitati, come selve di boschi, di seminati… I ricatti purche ci sia venuto atto di sequestrar la persona in parte rimota, asportando de loco ad locum. L’armare per la campagna con armi proibite, a modo di fuorusciti in comitiva e numero di quattro persone almeno…”.
Durante il vice-regno, il brigantaggio rappresento “un moto continuo ed una guerra domestica; appena se ne dissipava una squadra, pullulavano le altre e quelle estinte si sentivano le crudeltà delle nuove… e mettevano il tutto in desolazione e ruina, in guisa tale che non si poteva trafficare, ne si viveva con sicurezza nelle terre murate”. Il Brogi, citando un famoso manoscritto del 1710 intitolato “Genealogia della nobile ed antica famiglia Aloisi di Avezzano” scrisse: “Le Terre e i castelli della Marsicana si trovarono in preda al più grande scompiglio: si commisero molte uccisioni e saccheggi…”. “Schiere di banditi e malfattori, accresciute dal numero delle vittime della persecuzione spagnola, si gettarono in campagna: non e a dire quanto costoro tenessero trepidanti intiere terre e villaggi; era uno stato di cose intollerabile…” Anche le truppe spagnole costituivano un flagello peggiore degli stessi briganti, essendo composte di delinquenti arruolati per condanna e che opprimevano quelle popolazioni gia ridotte in miseria dai banditi.
Intorno al 1680 imperversava nella Marsica meridionale il famoso brigante capobanda Giulio Cesare De Sanctis detto volgarmente “Scalpaleggia”, di Luco dei Marsi, ribelle di Filippo V, al servizio del cardinale Vincenzo Grimani. Nel corso del ‘700 uno dei più famigerati gruppi di banditi era quello dei fratelli Gaetano e Paufilo Pronio, assieme a Giovanni Cellini e Ferdinando Leone, che terrorizzavano tutta la Marsica, essendo padroni assoluti dei passi di Forca Caruso, Gioia Vecchia e Forca d’Acero. Il preside de L’Aquila ordino al governatore di Pescasseroli di far imprigionare Giuseppe Butigliano, complice dei banditi nel corso dell’anno 1792 per “mezzo degli Armigeri Baronali”.
Negli ultimi anni del ‘700, a Pescasseroli, dal libro parrocchiale, risultarono uccise per mano dei briganti le seguenti persone: un soldato del regio esercito, Pietro di Celano; un giovane di ventidue anni, Vincenzo Giancarlo di Opi; una giovane ventenne, Maddalena Finamore di Pescasseroli.
II. Al tempo dell’occupazione francese nel Regno di Napoli, una circolare del 5 ottobre 1809 del Sottintendente, ammoniva i briganti ed i loro favoreggiatori, avvisandoli che ci sarebbe stato un giro d’ispezione di Mantes per tutti i paesi dell’Alto Sangro. Il Mantes era allora Generale di Sua Maesta e comandante la divisione degli Abruzzi.
Nel roboante proclama, diretto alla gendarmeria e alle guardie provinciali, denunciava la nascita di un nuovo brigantaggio, rincuorando le popolazioni e spingendole a collaborare con le forze dell’ordine. Si penso di combattere i briganti affamandoli, cercando cioè di non far giungere loro viveri e provviste dai paesi vicini. Ma i pastori di quelle montagne avevano sempre qualcosa da guadagnare dai briganti, ed ogni volta che le bande passavano per gli stazzi si prendevano un po’ di lana, di carne e di formaggio. Ed era percio impossibile controllare un circondario cosi vasto, che comprendeva tutta la zona montuosa a sud di Avezzano e di Sulmona, dove vi pascolava d’estate un grandissimo numero di pecore e dove quindi i briganti trovavano facilmente amicizie, contando sulla solidarieta degli armentari.
Poche altre montagne, come quelle dell’Alto Sangro, si prestavano più facilmente alla guerriglia brigantesca, come quelle attorno ad Opi che appartenevano al circondario di Avezzano, ma che era limitrofo allo Stato Pontificio, permettendo in modo agevole lo spostamento dalla provincia de L’Aquila a quella di Frosinone, appartenente allo Stato Pontificio. Importante era anche la località di Ferroio, dove si univano i confini dei territori di Opi, Scanno e Civitella Alfedena, appartenente al Circondario di Sulmona e che univa quindi i mandamenti di Castel di Sangro, di Scanno e Gioia dei Marsi.
Nel 1810 la popolazione poco aveva beneficiato dell’eversione feudale, stretta dalla solita miseria, e l’elenco dei processi criminali tra il 1810 ed il 1870 ci danno la conferma dell’elevato numero di briganti che infestavano l’Alto Sangro. Famoso brigante dell’epoca fu Antonio Gasbarrone, Gasbaroni o Gasperone di Sonnino, in provincia di Latina. In un suo scritto, Pietro Masi racconta: “Quando fu la Primavera del 1821, Gasbaroni se ne ando come al solito in terra d’Abruzzo”. Al ritorno dalla Puglia, dopo la fiera di Foggia, nella quale avevano venduto lana, formaggio, agnelli, gli armentari tornavano nel natio Abruzzo carichi di denaro e quello era il momento dell’ agguato Gasperoniano.
Egli preferiva il facile sconfinamento dal Sorano nel territorio di Opi, attraverso il passo di forca d’Acero. Aveva compreso che il brigantaggio poteva prosperare a spese dei pastori delle montagne d’Abruzzo piuttosto che in Ciociaria o nella campagna romana. Dal foglio 162 del registro 367, si apprende che venne incriminato assieme a Celestino Macari di Casaletto e Domenico Ricci di Opi per omicidio a scopo di rapina nel territorio di Pescasseroli nel marzo del 1821. In quel periodo ci furono anche le incursioni, sempre nel terriorio di Opi, dei briganti Panetta, Ventesca e Matera.
La particolare posizione topografica ed amministrativa di Opi, posto nella zona superiore della Valle del Sangro, appartenente al Circondario di Avezzano, comprendeva anche il Passo di Forca d’Acero confinante con il circondario di Sora. Il Passo di Forca d’Acero era un luogo sempre temuto per l’incontro con i briganti. Era il regno incontrastato di un altro famoso brigante di Sora, Luigi Alonzi, alias Chiavone; a pag. 337 si legge: “Capobanda Sorano, dalla fine di maggio ai principi di giugno del 1862 si stabilì sui monti abbruzzesi che dominano da nord-est la Valle di Comino”. Al foglio 151 del registro 374 venne incriminato dal 3 al 10 ottobre 1861 per banda armata e mancato omicidio in territorio di Opi assieme a Gaetano Frattura, Zaccaria Di Iorio ed Angelo D’Amico da Castel di Sangro.
Ogni volta che faceva le incursioni nei paesi d’Abruzzo, usava inviare lettere minacciose ai sindaci: “Signor Sindaco, alla vista della suddetta subito si alzi la voce del nostro augusto Sovrano, e si tolgano le bandiere di Savoia, e si alzino quelle di Francesco Burboni, se non altrimenti al paese sarà dato sacco e fuoco, e pronte di trovare duemila razioni di pane e formaggi, propri alla mia venuta… Popoli degli Abruzzi, all’armi, per li gioghi degli Appennini ciascun macigno e fortezza, ciascun albero e baluardo. Il nemico… dovra soccombere al fremito del nostro coraggio alla forza dei petti devoti alla morte per una causa che merita il sacrificio”. F/to Chiavone, Tenente generale in Capo.
Nell’Abruzzo Aquilano il brigantaggio, indigeno per gli elementi che lo praticavano, non di rado fu rifornito e rinsanguato da spedizioni partite dal territorio pontificio; in generale la regione forni più la scena che gli attori. Un seguace di Chiavone, in un suo memoriale, cosi raccontava la sua vita allo sbaraglio: “Nella mia grotta, la sono stato altri tre giorni e tre notti, e poi tra la neve e la fama sono andato via perché, per non morire di fame e di freddo dentro a quella spelonga, la notte sentia di gridare di lupi per le alture della mia grotta; cosi per tutta la quarta notte ho sempre camminato sopra la neve ghiacciata, su tutte le montagne di Balsorano, e su tutte le montagne di Sora, sempre neve…”.
Nella lettera n. 18 del 13 maggio del 1862 c’era scritto: “Giorni or sono 18 briganti furono alla Caprarecchia di Opi. Cola mangiarono un castrato e diversi capretti; la mattina fecero finta di andarsene per Pianezza e poi salirono per Monteamaro”. Si dubita che non fosse la Banda di Centrillo. Nella lettera n. 20 del 9 giugno del 1862, invece: “Noi a Vallefredda ebbimo una piccola visita dai detti Sanfedisti, ma non ci interessarono che di pochi pani, rubarono un cappotto nuovo ad Aniceto, e tolsero i calzoni che vestiva un pastore di Opi… A tanta importanza tien dietro una freddezza da parte delle autorità; se potete gridare per qualche sollecito provvedimento, fatelo, perché le cose si preparono a male per questi diserti paesetti…”
Un altro famoso brigante che frequentò lungamente i monti sopra San Donato Valcomino e il Passo di Forca d’Acero, fu Domenico Fuoco di San Pietro Infine in provincia di Caserta, assieme a Francesco Guerra di Mignano e a Francesco Cedrone di San Donato Valcomino. Le loro bande si stabilirono per alcuni anni e fino al 1870 tra Forca d’Acero e Vallefredda, anno in cui vennero uccisi. Nel verbale dei carabinieri della stazione di Barrea sulle ricerche di Domenico Fuoco del 20 febbraio 1867 c’era scritto: “…In vista di cio ci siamo messi più volte sulle tracce onde poterlo assicurare alla giustizia, ma indarno le nostre ricerche, perché ci risulta essere costui latitante nelle montagne romane, ma assicuriamo che sarà da noi rintracciato ed assicurato alle mani della giustizia penale…”.
Nel biglietto di ricatto inviato a Giuseppe Antonucci di Civitella Alfedena, dal capo banda Domenico Fuoco, c’era scritto: “Signor Di Giuseppe mi mandate pane e vino per 80 persone se non volete che mangiamo le vacche e mi mandate il cannocchiale si l’avete in casa e 10 paccotti di tabacco e 4 prisutti e 4 pezze di formaggio e 4 paia di cascavallo”. Lo storico Antonio Silla nel suo scritto “La Pastorizia difesa” del 1782 aveva accertato che ad Opi c’erano 17 armentari e che l’Alto Sangro dava “un’impressione del deserto di montagna… esaltata dal concentramento stesso delle sedi, le quali si aggruppano in pochi e radi borghi rurali di struttura compatta”. Il brigante Fuoco ebbe luogo e sicuro asilo nei monti a nord di Picinisco, sul monte “Meta”, dove pero venne ucciso nella notte tra il 17 e il 18 agosto del 1870 assieme ai suoi compagni Cucchiara e Ventre.
Un telegramma-bando del 24 luglio 1865 stabiliva un premio di 10.000 lire a chi entro il 31 agosto del medesimo anno avesse Portato vivo o morto Domenico Fuoco e Francesco Guerra, incriminati per aver ucciso, presso i pascoli di Pianezza ad Opi, 150 ovini di Amico Antonucci di Civitella Alfedena (busta 5 dei documenti sul Brigantaggio, Sezione dell’Archivio di Stato di Sulmona). Il 29 luglio del 1871, presso la montagna Pallottieri di Barrea, la squadriglia di Chiaffredo Bergia feri e fece prigioniero Croce di Tola detto “Crocitto”, altro pericoloso capobanda che da anni imperversava nell’Alto Sangro.
Nell’interrogatorio del 30 luglio 1871 a Scanno, dopo la sua cattura, cosi egli affermava: “…Sono Croce di Tola fu Donato, di anni trenta, nativo di Roccaraso, celibe, so leggere e scrivere, non mai detenuto, non militare… Io ero pastore addetto al servizio del Sig. Eustachio Patini di Roccaraso, allorche scoppio la rivoluzione del 1860. Successe la reazione… ed alle grida di viva Francesco II, io vi presi pure parte… sopravvenuti i Garibaldini… Per non essere compreso nel numero degli arrestati, mi detti alla fuga anch’io… Ieri poi verso le venti avendo visto i carabinieri che si trovavano in un sito sottoposto… il del Guzzo comincio a sfidarli, e cosi si attacco fuoco. Io fui colpito con proiettile nella coscia destra che mi fece traballare. Fu allora che Gaetano Patella mi tolse il fucile e di dosso la giacca… ed io fui sorpreso dai carabinieri e fui qui condotto”.
In quel periodo un reparto del 44′ reggimento era stanziato ad Opi fin dal 1862 sotto il comando del Capitano Giuseppe Rossi, della famiglia nobile di Opi imparentata con il deputato liberale di Villetta Barrea Lep Dorotea. Il 27 ottobre del 1866 si verifico in Ferroio (localita situata ai confini di Opi, Scanno e Civitella Alfedena) uno scontro che costo la morte di quattro soldati e di un civile. Questo tragico fatto rese necessario costruire due fortini o “Blakhous” in Ferroio e sul Monte Meta, per controllare e spiare i veloci movimenti delle bande di briganti. 130 Lo scontro del Ferroio raffreddo le speranze e gli entusia’ smi degli armentari che avevano creduto sconfitto il brigantaggio.
Infatti, il 14 marzo del 1867, il primo concorso per la vendita degli erbaggi estivi andò deserto, e vennero avanzate offerte inferiori in relazione a quelle poste. Ercole Di Ianni offri 680 lire mentre, nel 1866, Don Federico De Sanctis, entrambi di Villetta, aveva avanzato un’offerta di 1317 lire. Inoltre, il complesso dei monti dell’Alto Sangro era privo di strade carrozzabili, aspro e boscoso, ma ben conosciuto dai briganti. Roberto Almagia, nel “Primo Saggio Storico di Cartografia Abruzzese”, aveva denunciato l’imprecisa conoscenza di quei luoghi: “Quanto alla rappresentazione degli abitati, gia alcune corti del cinquecento ne sono ricchissime, ma errori gravi si perpetuano a lungo, specie per i distretti montuosi come quello a sud della Conca di Avezzano”.
Il Procuratore del re, Conte Alberto de Chaurand de S. Austache, nella sua relazione del 7 gennaio 1891, “La giustizia nel Circondario di Sulmona”, affermava che “i delitti anche più gravi, rimasero isolati… Posso di più affermare che rari sono in questi paesi i veri delinquenti… se fiera nell’ira, buona nel fondo e l’indole di queste popolazioni”. Alessandro Bianco di Saint Jorioz, a pag. 130 nella sua Opera sul Brigantaggio, affermava: “Or gli Abruzzesi, in generale parlando, non rassomigliano agli abitanti dei piani caldi e fertili; diversificano poi assai quelli della provincia aquilana. Distinguonsi fra loro spiccatamente i Marsicani e gli Aquilani…
L’altezza e la indipendenza sono i caratteri distintivi degli abitatori dei luoghi montuosi o freddi. Più marcati e forti negli Aquilani e Marsicani… Irritati, sono fieri vendicatori, alteri sempre…”.