Nel 1840 fu firmata la Convenzione per la nuova confinazione tra lo Stato Pontificio ed il Regno delle Due Sicilie. Erano secoli che in molte zone di frontiera vi erano territori contesi che molto spesso portarono ad uno stato di quasi guerra civile. Omicidi, rappresaglie, furti, arresti furono molti, ma per tanti anni non furono sufficienti a definire in modo stabile la linea di confine tra le due sovranità. Solo grazie all’immenso lavoro cartografico del padovano Rizzi Zannoni con il suo omologo pontificio Ricci fu possibile, alla fine del XVIII secolo, effettuare un serio rilievo della zona di confine e disegnare precise mappe che potessero mettere in evidenza le controversie per poi dirimerle con un incontro politico ad alto livello.
Il lavoro effettuato permise anche la raccolta di una copiosa documentazione trovata presso le località frontaliere che tutt’oggi riempie molte buste d’archivio. Ogni controversia ha moltissimi documenti che analizzati con più attenzione potrebbero mettere in evidenza anche la vita che si svolgeva in queste sperdute zone. Infatti, intorno alla linea di confine confluiscono molti interessi e molte tematiche: politiche e di sovranità come abbiamo visto, militari per la difesa del territorio specie dopo il ciclone napoleonico, sociali per quanto riguarda la convivenza delle popolazioni, economiche per ciò che attiene allo sfruttamento, a quell’epoca fondamentale, sia dei boschi che delle risorse idriche, sanitarie per il diffondersi delle epidemie. Fu proprio il colera scoppiato a Napoli nel 1836 che dette un impulso decisivo alla risoluzione delle annose questioni. Infatti, il cordone sanitario alzato dallo Stato Pontificio aveva quasi chiuso i collegamenti tra le due parti tanto da far incrementare il contrabbando. Lungo il confine pontificio-napoletano si contavano 34 controversie presenti in maniera omogenea dal mar Tirreno al mar Adriatico.
In particolare, la zona intorno a Pereto contava ben quattro controversie: quella, la XV, tra Rocca di Botte e Camerata – Cervara di cui ci interesseremo tra breve, Oricola e Riofreddo – Vallinfreda, Poggio Cinolfo e Collalto ed, infine, Carsoli e Nespolo. In generale, le problematiche vertevano sull’utilizzo dei campi per la coltivazio- La controversia di confine tra Rocca di Botte e Camerata – Cervara nel XIX secolo ne, il taglio dei boschi, la riscossione delle tasse e le vie di comunicazione tra i paesi. Analizziamo ora la XV controversia (v. fig. 2). La zona si trova oggi all’estremità settentrionale dei monti Simbruini tra Abruzzo e Lazio. Già questo primo aspetto permette di evidenziare che nell’Appennino centrale molti confini sia regionali che provinciali ripercorrono questo vecchio confine. Tale situazione è facile da trovarsi anche in altre zone della penisola italiana che nei secoli hanno vissuto molte spartizioni. La situazione nella zona che stiamo prendendo in esame era diventata critica tanto che il podestà di Cervara Ridolfi, nel maggio 1793, scriveva a Roma che il clima era insopportabile poiché vi erano sconfinamenti del bestiame da parte degli abitanti di Rocca di Botte e continue provocazioni.
Una lettera di Ricci del 1795 poneva il problema che i territori contesi potessero rientrare in alcune donazioni dei Conti dei Marsi al monastero di S. Benedetto di Subiaco e che il tutto si riduceva ad identificare sul terreno questi limiti. Nei rendiconti per le trattative del XIX secolo si hanno le richieste da parte pontificia. Esse erano per una linea che partisse dal punto di triplice confine tra Cervara, Arsoli e Rocca di Botte che era indicato da un antico termine chiamato Triangolo. Da questo punto la linea continuava verso il Colle della Civitella a nord della Fossa de’ Monani per poi e scendere alla Stretta di Valle Brunetta per risalire il Collicello che lungo lo spartiacque permetteva di raggiungere la Scrima del Monte Serraspina fino alla sua vetta chiamata all’epoca Le Moricelle. Si racconta che in quest’ultimo punto vi era un’antica colonnetta che segnava questa volta il triplice confine tra Cervara, Camerata e Rocca di Botte che per malizia era stata asportata. In una relazione delle autorità locali si confermava il comune accordo sui punti di triplice confine e che i documenti relativi furono consegnati a Ricci quasi 50 anni prima. Da parte pontificia si chiedeva il territorio controverso sia perché tutti i proprietari erano pontifici sia perché la linea di confine seguiva i rilievi naturali idonei a garantire gli interessi pontifici di sicurezza.
Da parte napoletana la linea di confine iniziava da un punto in località Monna Vallevona, detto anche Cacume, per dirigersi verso il fosso Fiojo o Fioggio per continuare fin presso la casa della famiglia Pelosi per poi passare sul colle S. Stefano a nord-ovest della casa della famiglia Fioravanti per proseguire al colle di Mezzo presso la fontana del Pidocchio che rimaneva nel Regno di Napoli; il confine proseguirebbe passando per la località detta Ara di Coccetta proseguendo per la cresta del monte Petrera e per quella del monte Burracchino; da questo punto la linea gira verso nord-ovest per raggiungere la Pretaglia (Foto: T. Aebischer) lumen 17 o Maceroni e proseguire per colle di Pretaglia, monte Civitella, serra Perticara per arrivare, infine, al punto di triplo confine tra Camerata, Cervara e Rocca di Botte. In un rendiconto della situazione compilata dalla parte napoletana si riportano documenti che attestano il non pagamento da parte dei pontifici delle tasse dovute a Rocca di Botte. Inoltre, si accusava i cittadini di Camerata di aver fomentato nel 1783 un tumulto che costrinse il governo centrale ad inviare delle truppe.
Per quanto riguarda i confini già nel 1734 non si dava credito alle richieste pontificie poiché i supposti termini, sui quali Camerata si fondava, non meritavano attenzione, da che erano o dubbii o fatti di recente. La definitiva risoluzione della controversia si ebbe con l’apposizione nel 1847 (ben sette anni dopo la firma della Convenzione!) dei termini di confine come si può vedere dal documento specifico che riproduce due delle tavole che Marzolla incise per i due Governi. In figura ogni termine è identificato da una stellina, mentre la linea di confine è segnata dalla linea crocettata. La linea venne demarcata con colonne di calcare compatto alte circa un metro con una base lavorata in rustico di circa quaranta centimetri. Sulla superficie laterale furono incise dalla parte pontificia le chiavi decussate di San Pietro con sotto l’anno di demarcazione, mentre dalla parte napoletana fu inciso il giglio borbonico con al di sotto il numero progressivo. In testa, leggermente rotondeg giante, la colonnetta aveva incise le cosiddette direttrici che indicavano la direzione verso la quale si dovevano trovare, rispettivamente, la colonnetta precedente e quella successiva. Bisogna precisare che le linee direttrici non indicano la direzione di andamento del confine.
La nuova linea di confine tra i territori di Rocca di Botte e Camerata – Cervara aveva le colonnette con incisi i numeri dal 300 al 332. L’andamento che andremo a descrivere farà uso dei toponimi di allora per cui sarà interessante ‘ritrovarli’ in quelli moderni o nei dialoghi con i contadini più anziani. Iniziando il nostro itinerario si parte dal termine numero 300 sito alla fossa del Lupo lungo il fosso Fiojo a nord di Camerata; proseguendo il confine nel mezzo del fosso e sempre sulla riva meridionale si trova il 301 in località Pie’ di Cerquito; proseguendo ancora lungo il fosso all’altezza di un’edificio denominato Pianetta Cotale si trova il termine 302 in località Le Sterparelle; da questo punto la linea di confine lascia il fosso Fiojo per dirigersi ad angolo retto verso sud-ovest raggiungendo poco dopo un’antica colonnetta col numero 303; si continua quasi in linea retta verso la 304, 305, 306, 307 e 308 arrivando alla stradella degli Scarparoli; qui il confine compie senza ulteriore indicazione un arco verso sud per arrivare alla 309 presso la fontana degli Scarparoli; si prosegue quasi in linea retta fino alla 311 al Vallone di Peschio Vannito; da qui il confine gira ad angolo retto verso nord-ovest seguendo la cresta del Piede di Serra Spina, quella della Serra di Monte Spina, quella del colle della Volubrella, quella del colle Pratone e quella del Cacio Vecchio; al numero 327 ci si trova nella valle Brunetta per la quale passava la strada che collegava Rocca di Botte alla strada doganale romana che, invece, portava verso sud a Camerata; il confine riprende a salire i monti per arrivare al termine numero 332 denominato il Triangolo di cui si é già parlato. In grandi linee questo fu il confine che visse fino alla conquista di Roma nel 1870 allorquando scomparve lo Stato Pontificio.
Oggi il vecchio confine é diventato quello tra l’Abruzzo ed il Lazio. Potrà essere sembrato tedioso aver descritto in maniera asciutta una linea che é costata secoli di attriti tra le popolazioni, ma riteniamo che anche se oggi non ha più il significato di allora, ne abbia acquistato un altro con in più un valore storico. I termini di confine sono testimoni dell’opera dell’uomo per il governo della realtà temporale. Comunque, pur volendo dividere il territorio questi manufatti hanno creato un luogo di unione tra i paesi frontalieri. Per questo motivo si invitano gli abitanti dei luoghi e coloro interessati a vivere il territorio in maniera più diretta a seguire l’antico confine e come un gioco trovare le varie colonnette. Infatti, la fortuna ha voluto che in questo tratto di confine in una ricognizione effettuata tra il 1993 ed il 1994 si trovassero tutti i termini tranne il 312. Un invito sentiamo di dare: informateci se qualcuna di queste colonnette scompare o viene deteriorata perché dietro ad ognuna di esse vi é stato il lavoro del politico, del geografo, dell’archivista, dello scalpellino, del guardiano del confine; ogni punto del confine ha una sua storia e lo spostamento del termine la dissolve perdendola quasi irrimediabilmente. Inoltre, la linea di confine é un humus molto fertile per ricerche interdisciplinari di geografia, storia, economia, sociologia.