Potremmo continuare a lungo con questi episodi del passato, ma rischieremmo di perdere di vista il vero problema: quello, cioè, della particolare natura del brigantaggio post-unitario, cui forse converrebbe dare un nome diverso e definirlo per quello che esso veramente fu: e cioè, una specie di «rivolta vandeana», con un misto di motivazioni sociali, economiche e religiose, che spesso coinvolsero nelle medesime responsabilità o nello stesso destino contadini, nobili e clero. Tale forma di brigantaggio non si era mai manifestata, invece, sotto il dominio dei Borboni, allorché tutti i fatti di delinquenza rientravano esclusivamente nella categoria del «brigantaggio comune», spesso denunciato perfino dal Vescovo dei Marsi, come accadde nel 1824 a mons.Giuseppe Segna, il quale «visitò la diocesi personalmente non senza gravi incommodi e pericoli di ladroni». (27)
Vale la pena, comunque, riferire per intero uno di questi episodi di brigantaggio non politico, cosí come esso venne denunciato dal sindaco di Pescasseroli (il signor Clemente del Principe) al Sotto-Intendente di Avezzano, in data 7 ottobre 1831; « Signore.Nel giorno cinque dell’andante mese, alle ore circa 19, cinque individui armati di schioppo, nel locale denominato Sopra Campomizzo tenimento di Gioja, rubarono l’usciere Tomasetti, ed un individuo di questo Comune, a nome Domenico Gentile, quali si recavano in questo Comune medesimo, essendo l’altro usciere Santilli fuggito, ed al quale gli assassini scagliarono un colpo di fucile, ma senza offenderlo. A tale notizia riunii tosto degl’individui della Guardia Urbana, e feci porli in persecuzione dei detti assassini; ma dei medesimi non se ne sa veruna notizia, giacché dopo il furto scomparvero, né piú si sono intesi; questa Gendarmeria, però, di unita alla Guardia Urbana, seguita a perlustrare campagne. Gli assassini presero al Tomassetti l’orologio, il cappotto, due fazzoletti, e tre fogli di carta bollata, e dal Gentile la giacca che indossava. II Regio signor Giudice in Gioja ha compilate le carte al riguardo, e ne sta istruendo la processura. Se di tal rea gente posso aver qualche notizia, ne darò tosto a Lei conoscenza anche per espresso» (28).
È ovvio che una tal forma di brigantaggio non ha nulla a che vedere con i movimenti di massa e con le rivolte popolari degli anni 1860-61, o con la formazione di bande armate di ribelli e transfughi degli anni successivi al 1862.
Nelle storie del brigantaggio post-unitario, sono riferiti alcuni episodi della guerriglia armata, che vide spesso intere popolazioni a fianco dei Borbonici e paesi interi in sommossa contro le truppe piemontesi o contro le autorità liberali. Per la Marsica, è sufficiente ricordare la «battaglia di Tagliacozzo», la «strage della Scurcola», la sommossa di Magliano, l’assalto a Luco, per citare i fatti piú clamorosi di quegli anni, noti ormai a tutti i cultori e gli appassionati di storia locale e a tutti i lettori di cronache o storie del brigantaggio meridionale (29).
Uno degli episodi piú clamorosi, comunque, fu quello di Avezzano del gennaio 1861, che trascriviamo dalla «relazione» che ne fece il Consigliere Distrettuale De Clementi al Governatore della Provincia:
«(…) lascio a Lei l’immaginare l’allarme, che tantosto si gittò in questo capoluogo nel vedere indietreggiare la nostra truppa: i fischi di convegno sentivansi in tutte le strade del paese; un andare e venire, un domandarsi l’un con l’altro, tutto annunziava una imminente insurrezione. lo però che mi aveva avuto sentore di quanto era avvenuto in Tagliacozzo sin dalle ore 24 previdi tale allarme, e perciò mi fissai sull’istante col Segretario, Signor Mariani, e coll’Ufiziale del Sotto-Governo, Signor Lolli, alla casa comunale, che esiste nella piazza, che fa centro al paese, non meno per la immediata spedizione delle staffette in Sora, in Valle di Roveto ed in altri luoghi, che per provvedere a qualunque altra bisogna, uscire ed accorrere; e vi rimasi la notte intiera (…). Temeva forte però il mattino seguente, atteso l’allarme che sempreppiú prendeva forza del sicuro avanzarsi de’ Borbonici.
Si previde la necessità di votarsi le prigioni, ove fra gli altri reazionarii eranvi rinchiusi il celebre caporale Diaz, capo della reazione qui avvenuta in Ottobre, e 13 gendarmi che di conserva con lui erano stati nei scorsi giorni arrestati. Furono perciò designati una ventina di Piemontesi per la scorta de’ detenuti (…). Uscita dunque appena la catena dalle prigioni, incominciarono a sentirsi grida di donne forsennate, che in men che nol dico riunirono tutta la popolazione, che correndo faceasi dappresso facendo ala alla catena. Pericolosissimo oltre ogni dire fu un tal momento; trattavasi di un ammutinamento popolare di circa tre in quattro mila abitanti (…)» (30).
Non è qui il caso di trascrivere il documento per intero, essendo importante, per il nostro assunto, l’affermazione contenuta nella parte già letta, laddove il Consigliere Distrettuale parla di «tutta la popolazione», di «ammutinamento popolare» e di «circa tre in quattromila abitanti»: e cioè quasi tutti gli abitanti di Avezzano.
Un’autentica rivolta di popolo, dunque, cosí come rivolte popolari furono le numerose altre che si scatenarono, durante quei mesi, in quasi tutti i paesi della Marsica, della Valle Roveto e del Cicolano (31). Ma torniamo al problema iniziale: quello, cioè, del rapporto esistente tra Chiesa marsicana e reazione politica e, soprattutto, delle conseguenze che il fenomeno «reazione-repressione» ebbe sulla vita stessa della Chiesa nella diocesi dei Marsi.
NOTE