Per chi voglia affrontare lo studio del problema del brigantaggio post-unitario, è ancor oggi di grande interesse la Relazione che Giuseppe Massari ed altri deputati lessero in Parlamento (riunito in comitato segreto) nel maggio del 1863. Per il Massari, la causa piú vera del brigantaggio meridionale non era stata «la crisi politica», bensí «prima fra tutte, la condizione sociale, lo stato economico del campagnuolo, che in quelle provincie appunto, dove il brigantaggio ha raggiunto proporzioni maggiori, è assai infelice» (13). Ma lo stesso Massari, sempre in quella sua Relazione, cosí scriveva a proposito della Marsica:
«Nel circondario di Avezzano, in provincia di Aquila, i contadini vanno a lavorare nel vicino Agro Romano e guadagnano onestamente la vita. Quel circondario, al pari di quello di Sora, è limitrofo al territorio pontificio, ed ivi pure il brigantaggio è conseguenza d’importazione. In generale ciò si avvera in tutto l’Abruzzo aquilano perché in esso pochi sono i contadini i quali non abbiano qualche vincolo alla terra». (14)
Pur avendo individuato, dunque, nelle condizioni sociali ed economiche la causa preminente della ribellione popolare, il Massari non solo commette l’errore madornale di considerare tranquilla una zona come quella della provincia di Aquila compreso il Cicolano, che ancora per anni darà filo da torcere alle autorità politiche, agli organi di polizia e alle truppe impegnate nella repressione), ma non si pone nemmeno la domanda essenziale per la comprensione del fenomeno: come mai, cioè, dal momento che le cause preesistevano alla crisi politica degli anni 1860-63, la reazione e il brigantaggio si manifestino (come movimenti di massa) esclusivamente dopo il mutamento di regime.
Una situazione analoga, nella Marsica, si era verificata nei primi anni del secolo XIX, anche allora in concomitanza con rivolgimenti militari e politici; e anche allora il fenomeno del brigantaggio era sorto, improvviso e violento, contro un potere (quello francese), che si presentava laicista e anticlericale e che, nel 1806, colpí alle radici le strutture tradizionali del Regno di Napoli con l’introduzione delle «leggi eversive della feudalità». Queste leggi, pur presentandosi come favorevoli ai contadini (soprattutto per l’abolizione delle «imposizioni personali di opere, le cosiddette angarie») (15), avevano portato all’esproprio delle terre ecclesiastiche e alla soppressione di conventi e monasteri, danneggiando di conseguenza proprio i contadini.
Già allora, pertanto, le autorità politiche e militari, consapevoli della inscindibilità dei legami tra clero e masse contadine, si erano rivolte soprattutto alla gerarchia ecclesiastica, usando toni perentori e minacciosi. Giuseppe Bonaparte, il 27 agosto del 1807, cosí fece scrivere ai Vescovi delle province interne del Regno di Napoli (Marsica compresa): «Sul rapporto del nostro Ministro della Polizia Generale, abbiamo decretato, e decretiamo quanto siegue:
(…) Quel Parroco, che sarà convinto di non avere adoprato la sua personale influenza per incoraggire il popolo alla difesa, o per persuadere i briganti a desistere dall’aggressione, sarà arrestato e sospeso dall’esercizio delle sue funzioni (…)» (16). Risultate vane le minacce generiche, però, venne costituito all’Aquila il «Quartier Generale dell’Armata Francese operante in Abruzzo», il quale, il 24 settembre dello stesso 1807, inviò ai Vescovi il seguente «ordine del giorno»: «La Commissione Militare sedente in Aquila, e creata in virtú de’ poteri che ci son confidati, comincerà immediatamente il corso delle sue operazioni. Ella giudicherà spezialmente e senza appello, ogn’individuo accusato di brigantaggio; ogn’individuo che avesse occultato, o comprato degli effetti appartenenti a’ briganti (…); ogni individuo, che avesse dato asilo e ricovero a’ briganti, che loro avesse fornito delle armi, o avesse anche fatto loro pervenire degli avvisi di qualunque spezie sien essi; ogn’individuo, che istruito delle mosse di qualche comitiva di briganti, e potendo fornire delle notizie utili per la loro distruzione, non ne avesse dato avviso alle autorità piú vicine del luogo ov’eglino trovavansi. Gli uni e gli altri saranno giudicati e condannati come fautori e complici del brigantaggio.
II Generale Comandante la Provincia ed Incaricato dell’Alta Polizia L.HUARD»”. (17) Anche se in quest’ordine del giorno non viene specificamente fatto riferimento al clero, è facile supporre che proprio quest’ultimo fosse il destinatario degli ordini e delle minacce dell’autorità militare, dal momento che il bando era stato spedito con urgenza soprattutto ai Vescovi delle province implicate nel brigantaggio (e la Marsica fu tra le prime), con l’obbligo di diffonderlo tra il clero e farlo leggere ripetutamente nelle riunioni foraniali (18).
Un clima di disagio, dunque, giustificato dal naturale risentimento del clero e dal suo «atteggiamento sospettoso», (19) che riuscí in poco tempo a bloccare la politica antifeudale (almeno nei confronti della Chiesa) voluta dal regime napoleonico (20). La stessa cosa accadrà mezzo secolo dopo, quando (secondo le dichiarazioni di pubblici funzionari del nuovo Stato liberale) saranno proprio conventi e chiese il naturale rifugio di briganti e di sbandati:
«Tutti sanno che i conventi, e specialmente quello di Trisulti, è il magazzeno generale del brigantaggio (…); e cosí i briganti avevano a josa viveri, munizioni, ricoveri sicuri, armi a loro disposizione e sotto gli occhi dei francesi» (21).
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