IL TERREMOTO (Guglielmo Marconi descrive la tragedia di Avezzano)

Come in una città maciullata vi sono più morti che a Messina». ~ Roma 15 gennaio. Guglielmo Marconi, che e appena arrivato da Avezzano sul treno con il Re Vittorio Emanuele, dice che le parole sono insufficienti per descrivere gli orrori di cui e stato testimone. La città e stata assolutamente spianata e quelli che sono sfuggiti alla morte nel disastro sono adesso ridotti alla miseria. «Il Re Vittorio Emanuele mi ha detto» ha riferito il signor Marconi «che ha visitato tutti i luoghi colpiti da terremoti in Italia sin da quando era bambino ma che questo qui ha sorpassato tutti gli altri includendo persino quello di Messina. Il Re ha detto che i sopravvissuti di Avezzano sono soltanto il due o tre per cento della popolazione, mentre a Messina un terzo degli abitanti si erano salvati».

Nel descrivere il danno fatto ad Avezzano il signor Marconi ha detto: «Avezzano ha assolutamente cessato di vivere. A Messina alcuni edifici, specialmente quelli del lungo mare, davano l’impressione di essere ancora intatti in quanto le facciate erano sopravvissute alle scosse mentre soltanto gli interni erano crollati. Non e così ad Avezzano. Nessun muro li e rimasto in piedi. Sembra come se la città sia stata ridotta in polvere da una gigantesca macchina». La gente di Avezzano, secondo il signor Marconi, ha abbandonato ogni sforzo per estrarre dalle macerie i cadaveri e sta concentrando le forze nel cercare di salvare i sepolti vivi.

La catastrofe e di tali vaste proporzioni Marconi, ha aggiunto, che nessuna organizzazione umana avrebbe potuto portare soccorsi immediati. La gente e disperata nella propria impotenza di prestare aiuto a coloro le cui voci si odono provenire dalle macerie. «Durante il primo giorno dopo il disastro» il signor Marconi ha continuato «I soccorritori erano così pochi da non poter persino provare a scavare in posti nei quali provenivano invocazioni di aiuto, tanto da dover piantare paletti qua e la in punti del genere con la speranza di poter ritornare più tardi con forze adeguate per tirar fuori le persone imprigionate». «Quando tuttavia i soccorritori sono veramente arrivati la maggior parte di quelle voci erano state ridotte al silenzio e i paletti erano li soltanto ad indicare i luoghi dove giacevano i corpi delle vittime». Lo stesso signor Marconi ha sentito da sotto le rovine della scuola per ragazze le voci di due alunne che imploravano aiuto.

Le ragazze dicevano di non essere rimaste ferite. Erano state salvate da un pianoforte sotto il quale erano cadute e che le aveva riparate facendo da scudo contro le mura dell’edificio scolastico. Soffocate dalla polvere e infreddolite erano rimaste per due giorni senza mangiare. Nonostante gli sforzi per liberarle le ragazze erano ancora prigioniere quando Marconi era ancora ad Avezzano. Prima di partire il signor Marconi ha detto che egli si era sforzato di organizzare piccoli gruppi di persone per estinguere i fuochi che si erano sviluppati in diversi punti tra le macerie, e che, dice Marconi, hanno senz’altro bruciato vive alcune delle vittime rimaste intrappolate tra le macerie. La difficoltà nello spegnere le fiamme era acuita dalla insufficienza di pompe.

Un apprendista carrettiere e stata la prima persona a dare la notizia di Avezzano all’esterno. E riuscito a tornare in città dopo pochi momenti dalla scossa, ha incontrato un ferroviere e i due hanno sistemato un telegrafo su un carro merci e lo hanno collegato ad un filo che era rimasto intatto. Utilizzando lo strumento il ferroviere, che e un telegrafista, e riuscito a raggiungere Roma. I due hanno mandato per primi le notizie del disastro (17/1/1915).

Testi di Ernesto Salvi

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