LA MARSICA DURANTE IL FASCISMO E LE GUERRE MONDIALI (memorie di Qirino Stati, capo partigiano di Capistrello)

Anche Capistrello ha avuto, secondo quello che mi dice Quirino Stati, i suoi partigiani che hanno fatto onore al paese. Cinque o sei persone rientrate dai vari fronti, reduci da una o più guerre riuscirono a prendere accordo segretamente tra di. loro, formando un piccolo nucleo di partigiani. Quindi appena dopo la capitolazione dell’8 settembre i futuri partigiani si organizzarono in una banda di resistenza. ll primo problema che si pose fu quello di reperire le armi. In un primo momento esso sembro di facile soluzione perchè bastava avvicinarsi nei luoghi dove erano stati i soldati tedeschi per reperirle, per esempio al campo di concentramento di Avezzano dove erano tenuti prigionieri numerosi soldati inglesi.

La prima azione compiuta da questo nucleo fu quella di interrompere la statale 82 per Civitella Roveto, nel tratto «Muraglione» di Capistrello. II partigiano Quirino Stati era pratico di questa località perchè gli in precedenza e all’epoca gestiva in quel punto una cava di pietre, dove aveva istallato un impianto di frantumazione e fu proprio in questa cava che i partigiani locali si armarono di pali di ferro che servivano per rimuovere blocchi di una certa consistenza, interrompendo la sottostante strada, che serviva ai tedeschi come comunicazione col fronte di Cassino raggiungibile attraverso essa. I tedeschi furono colti di sorpresa e non disponendo all’epoca di mezzi meccanici la rimozione venne fatta a nuno ad opera di alcuni uomini di Capistrello e dei paesi vicini costretti dai tedeschi; un lavoro,n questo, che doveva essere fatto solo di notte poiche di giomo c’erano continui bombardamenti. Comunque 1a strada resto interrotta per circa 48 ore.

Avendo poi appreso che anche ad Avezzano si stava organizzando un gruppo di resistenza furono presi i primi contatti col partigiano Carlo Vitali che procuro al nucleo di Capistrello un incontro col futuro onorevole Bruno Corbi, organizzatore della nascente banda patrioti marsicani. Questo gruppo aveva lo stesso problema dei partigiani di Capistrello, cioè la necessità di procurarsi le armi. Si decise che ogni gruppo agisse per la sua zona e al gruppo di Capistrello furono affidate le operazioni di resistenza nella zona circostante. Il comando di questo gruppo fu affidato al sergente Quirino Stati ritenuto il più esperto perchè in precedenza aveva combattuto a! tre due guerre, quella in Africa Orientale, del 1935/36, e la guerra del 40/45 sul fronte russo, essendo per di più un sottufficiale. II tentativo di interrompere la strada del Liri fu ripetuto più volte nell’immediato futuro. I partigiani di Capistrello si preparavano di notte soprattutto quando pioveva; e tanto più imperversava il temporale tanto più questi partigiani lavoravano sodo volendo dare al nemico la sensazione che queste cose avvenissero per cause naturali dipese dal maltempo. Il nemico non si fece convincere tanto che instauro una rigida vigilanza di contraeree nella zona.

Il nucleo fu cosi costretto ad effettuare azioni di disturbo in tutto il territorio circostante. Furono operate interruzioni in altri tratti stradali, ferroviari, di linee telegrafiche e telefoniche e di energia elettrica. Furono incendiati isolati automezzi tedeschi transitanti fuori dalle mura cittadine. Queste azioni furono effettuate sul Monte Salviano e più di un autocarro fu assalito, distrutto e fatto precipitare al di sotto della scarpata. La stessa cosa veniva ripetuta nella strada provinciale per Corcumello e in quella per Cese. Si ricordano alcuni episodi: l’uccisione di un motociclista portaordini nei pressi dei Casali di Corcumello con un filo di ferro legato tra un albero e l’altro. La stessa cosa fu ripetuta nella strada provinciale in località «Trasolero» dove fu assalito un autocarro carico di carburante, in quell’occasione i tedeschi circondarono i Casali di Salustri, gli abitanti furono minacciati di fucilazione se non avessero rivelato i nomi dei colpevoli. Un pastore del luogo, D’Ascanio Antopio, forse unico testimone di quell’agguato, si congratulo con i partigiani e offrì loro una pecora. Un altro autocarro fu assalito e ripulito di materiale bellico in localita «Capannacci» di Capistrello.

Tutte queste azioni furono fatte dai partigiani per reazione, come azioni di disturbo, dopo una qualsiasi rappresaglia, o fucilazione del tenente tedesco che c’era allora a Capistrello. Col passare del tempo reperire le armi era sempre più difficile. Il comandante della «Banda Marsica» rassicurava i partigiani di Capistrello che stava prendendo accordi con i comandi alleati i quali promettevano ai partigiani del luogo un rifomimento di armi per almeno 700/800 uomini, anche perché a Morrea, piccolo centro della Valle Roveto, frazione di Civitella, vi erano 400 prigionieri italiani e alleati che erano in contatto con degli ufficiali inglesi e con alcuni ufficiali italiani, come il tenente Pino Stampi, il tenente-pilota Raul Gricco e Mario Turchi.

Il 5 maggio 1944 in località «Lungagna» di Luco dei Marsi vennero paracadutati un imprecisato numero di soldati inglesi carichi di armi per le forze partigiane; alla guida di questi paracadutisti c’era il maggiore degli Alpini Terzi. Qualcuno fece sicuramente la spia ai tedeschi avvertendoli dell’arrivo di questi soldati, tanto che quando inizio il lancio dei paracadutisti essi furono presi a bersaglio dai tedeschi che erano li appostati. Questo fatto mise a repentaglio la vita anche di 40 giovani che avevano l’incarico di ritirare le armi e dei partigiani che erano li convocati. I partigiani riuscirono a fuggire grazie al fatto che conoscevano bene il luogo. Non si e mai saputo con esattezza quanti morti e feriti ci furono perché i tedeschi fecero sparire ogni traccia di quel massacro, che fu condannato anche dalle leggi di guerra internazionali che vietano l’uccisione dei paracadutisti se questi non sono ancora arrivati a terra. Il problema delle armi adesso era diventato un grosso problema.

Fu allora che si penso di chiederle alla forza pubblica di Capistrello e, grazie ad un ex carabiniere del posto, Isonzo Di Diomenico, si riusci a convincere il comandante del Comando dei Carabinieri e quello delle Guardie Forestali di passare le armi nelle mani dei partigiani. La caserma all’epoca si trovava in via Giorgia, per la strada di Civitella Roveto, e nottetempo fu fotto lo scambio. Le armi furono quindi portate fuori del paese nella casa di Giuseppe Bianchi nel mulino vecchio nei pressi del fiume Liri che passa per Capistrello. I partigiani scelsero quel luogo e quella persona perché spesso aveva collaborato con loro rifornendoli di cibo. Giuseppe Bianchi era un ”incallito” antifascista che aveva scontato parecchi mesi di carcere per aver teso una imboscata e aver accoltellato il comandante del fascio di Capistrello, il colonnello medico Cesare Bizzarri.

Giuseppe Bianchi aveva nutrito anche due soldati inglesi che erano fuggiti dal campo di concentramento, questi furono nascosti nella parte più alta del paese, detta «Ricetto», dove gli era più facile la fuga in caso che fossero ricercati dai tedeschi, e si trovavano nella casa di un certo Breccia questi ufficiali m lesi furono informati che nel tratto di strada per Civitella Roveto non si poteva più operare, ma furono sollecitati a mettersi in contatto con i loro comandi, affinché provvedessero a controllare quel tratto con fortezze volanti. In breve tempo questo avvenne e gli stessi ufficiali tenevano informati i partigiani del giomo, dell’ora e della consistenza del bombardamenlo. Con le armi ottenute si armarono un gruppo di prigionieri Indiani che si unirono ai partigiani di Capistrello. Questi indiani furono molto utili ai partigiani locali perchè cosi i partigiani avevano la possibilità di rientrare di giorno in paese per non destare sospetti, mentre gli Indiani salvaguardavano le armi.

I partigiani invitarono la popolazione tanto che questi partigiani furono accolti da molte famiglie di Capistrello che pur sapendo i pericoli che correvano nutrivano e nascondevano i prigionieri fuggiaschi. L’ultima azione dei partigiani fu quella della fine di maggio 1944, allorché vi fu uno scontro tra i partigiani e un contingente tedesco che si era recato a Castellafiume per fare razzia di bovini nella zona di «Pianezza», una montagna nei pressi di Castellafiume, dove molti allevatori della zona, anche di Capistrello, avevano trasferito il loro bestiame per proteggerlo dalle razzie tedesche. Allora 1’amministrazione comunale di Castellafiume era retta dal generale Palladini e dal colonnello Pompeo, che furono sospettati di essere loro le spie dei tedeschi, ma in modo particolare il sospetto cadeva sul generale Pompeo, poiché coniugato con una tedesca. Anche i partigiani gli diedero la caccia ma non riuscirono mai a prenderlo in quanto avendo molti parenti aveva parecchie possibilità di rifugio.

I partigiani che controllavano la zona intercettarono il nemico e si portarono sul posto. Poiché il numero dei partigiani era di molto inferiore a quello dei tedeschi, due partigiani si infiltrarono tra le persone che stavano a salvaguardare il bestiame e fingendosi anche loro allevatori cercarono di capire il piano dei tedeschi che era quello di prendere più bestie possibili e in seguito tornare per prendere le restanti. I due partigiani tornarono nel gruppo a riferire le trattative tra i tedeschi e gli allevatori, poiché conoscevano bene la zona, si piazzarono in un punto dove i tedeschi dovevano necessariamente passare in fila indiana con le mucche dietro legate con delle funi. I primi uomini a cadere dalla parte tedesca furono quelli di testa, colpiti a distanza ravvicinata dopo l’ordine del capo dei partigiani. Il nemico dopo ciò si dette a precipitosa fuga lasciando anche le bestie prese. I tedeschi tornarono a piedi alla piazza di Castellafiume dove avevano lasciato gli automezzi e ripartirono alla volta di Massa D’Albe, dov’era il loro Quartier Generale.

Dalla parte dei tedeschi ci furono due morti ed un ferito, dalla parte dei partigiani solo un ferito grave, il giovane Stati Giuseppe, che pur non essendo partigiano fu scambiato per questo e fu lasciato ferito in quanto il nemico pensava che fosse morto. In un baleno la voce dell’accaduto si sparse per le valli circostanti, dove la popolazione di Capistrello si era rifugiata, soprattutto nella pianura della Renga, creando panico e smarrimento. I partigiani allora uscirono allo scoperto per cercare di mantenere tutti calmi assicurando che ormai il nemico aveva le ore contate in quanto era stato rotto il fronte di Cassino, notizie queste avute dogli ufficiali inglesi rifugiati a Capistre l lo. I partigiani promisero alla popolazione sfollata che loro avrebbero protetto tutti in caso di attacco da parte tedesca. La prima cosa fu quella di informare il capo della «Banda Marsica» e chiedere rinforzi, cosa che fu fatta subito. Il nemico non si fece attendere molto, infatti dopo qualche giomo tomo alla carica con forze massicce per dare una lezione punitiva.

I tedeschi arrivarono alla piazza di Castellafiume, ma il loro comandante non avventurarsi in montagna, in una zona che non conoscevano, boscose e per di più ben conosciute dai partigiani, ordino allora niarcia indietro. Questi stessi tedeschi mentre tornavano alla loro base e rastrellarono il Monte Salviano e nei pressi della stazione ferroviaria di Capistrello individuarono, sulla montagna spoglia di vegetazione, alcune persone, che erano solo dei pastori, degli allevatori e non certo dei partigiani. Probabilmente o i tedeschi li hanno scambiati per partigiani oppure li hanno uccisi per attuare la loro missione punitiva. Intanto i partigiani seguirono, da lontano, le azioni e gli spostamenti dei tedeschi e pensarono che quest’ultimi avessero preso costoro per far caricare gli attrezzi oppure i viveri che erano dentro la galleria. I tedeschi chiusero il cancello di accesso della stazione e vi piazzarono una mitragliatrice in modo che se si fosse avvicinato qualcuno loro erano pronti a sparare. Quando i partigiani, che erano appostati nella cava di pietra di Stinellis, la quale si trova ai piedi del Monte Arezzo, capirono che costoro erano stati presi per essere fucilati fu troppo tardi in quanto erano troppo lontani ed era inutile tentare poiché era impossibile vincere contro un numero notevolmente superiore di uomini tedeschi e per di più armati fino ai denti.

Queste persone furono messe dentro un casermone, usato come magazzino merci, e poi uno alla volta uccisi ai bordi di una fossa causata dall’esplosione di una bomba, costoro furono uccisi senza che i partigiani o chiunque altro potessero fare niente. Tra i 33 martiri c’era anche un ragazzo di tredici anni il quale fu mandato dai tedeschi a Santa Croce a prendere il vino dei suoi familiari. II ragazzo, che non sapeva ancora le intenzioni omicide dei tedeschi, tornò col vino chiesto e fu rimesso dai tedeschi insieme con gli altri 32. Quando il ragazzo capì le intenzioni dei tedeschi tentò di fuggire e ce l’avrebbe anche fatta se non fosse inciampato a causa delle stringhe delle sue scarpe, infatti una volta superata la cunetta dove inciampò i tedeschi non l’avrebbero più avuto di mira, fu cosi i tedeschi ebbero maggiore possibilità di sparare ed ucciderlo. I 33 furono uccisi il 4 giugno 1944 e 18 giugno arrivarono gli alleati. Ora le domande sono molte, una in particolare perché i tedeschi scelsero proprio Capistrello per uccidere tanti martiri, solo per punire i partigiani che avevano ucciso due tedeschi? Sono domande che rimarranno per sempre domande e non avranno mai una risposta, perché coloro che forse sapevano sono morti e chi è vivo non vuole dire niente, ma perché.

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