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Lo studioso Ugo Speranza pubblicò alcuni rogiti del notaio Domenico Bucci (1658)  nei quali possiamo riscontrare la numerazione dei «fuochi» delle università di Avezzano, Collelongo, Trasacco, Luco...
Recensione del saggio "Ispettori ai monumenti e scavi nella Marsica" di Cesare Castellani nel Bullettino della Deputazione abruzzese di Storia Patria
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Aspetti della giurisdizione delegata nella Marsica durante il viceregno spagnolo e austriaco
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La grotta di Sant'Agata
Una grossa cavità naturale posta sul versante acclive della Serra di Celano grotta di Sant’Agata Sopra la parte sommitale della rocca della Turris Caelani, sotto una grande sporgenza rocciosa...
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Luigi Colantoni (1843-1925), canonico, vicario capitolare e ispettore ai monumenti
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Un marsicano in Antartide

La straordinaria avventura dell’ingegnere Simone Chicarella
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NECROLOGI MARSICA

Necrologi Marsica Cristina Fiocchetta
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Dott. Paolo Sante Cervellini
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Tagliacozzo – È marsicano lo station leader che ha guidato la squadra di ricercatori italiani, francesi e belgi della missione Concordia in Antartide dall’8 novembre 2016 al 23 dicembre 2017. Simone Chicarella è un giovane ingegnere originario di Tagliacozzo, membro del Dipartimento di Ingegneria dell’università “La Sapienza” di Roma. Al suo rientro nel paese natale,  il Comune ha voluto conferirgli un attestato di benemerenza per il lustro portato a Tagliacozzo con la missione da lui capitanata.

Terre Marsicane lo ha voluto incontrare per conoscere dettagli e obiettivi della spedizione scientifica e per capire se e in che modo un’esperienza unica come questa influenzi i comportamenti sociali di chi la vive.

Ingegnere, in cosa consisteva esattamente la vostra missione in Antartide?

«Iniziamo spiegando che sono due missioni:  la campagna estiva e quella invernale. Durante la campagna invernale l’obiettivo di Concordia è quello di mantenere in vita, compatibilmente con le ostilità ambientali, gli esperimenti scientifici attivati durante la campagna estiva. Alcuni esperimenti sono stati attivati l’estate scorsa mentre altri hanno preso vita ben 13 anni fa, durante la prima campagna estiva. Cosa vuol dire? Bisogna fare delle misure operative fisiche, prelevare e analizzare campioni, usare procedure per tirar fuori dati che hanno a che fare con il pianeta Terra. Un esempio sono gli esperimenti di glaciologia, che consistono nel prelevare campioni di ghiaccio o di aria e analizzarli. Alcuni campioni possono essere analizzati direttamente nel laboratorio chimico in Antartide altri, invece, vengono stoccati, confezionati e spediti in Europa per essere esaminati nei laboratori di università e centri ricerca».

In base a cosa si decide se condurre o meno un esperimento in Antartide? E qual è l’iter procedurale?

«Un ricercatore propone al suo ministero di afferenza –in Italia è il MIUR o, più precisamente, il PNRA una costola del MIUR- di fare ricerca in Antartide. Chi propone l’esperimento è il principal investigator, solitamente un ricercatore dell’università o di un centro di ricerca, a cui vengono stanziati i fondi necessari qualora la ricerca venga ritenuta valida. A questo punto lui -o un suo collaboratore- si reca in Antartide per mettere in piedi questo esperimento; durante l’estate viene istallato esperimento e durante l’inverno bisogna fare in modo che continui a vivere. Io, personalmente, ho seguito 9 esperimenti tutti di vecchia data: sono nati qualche anno fa. Anche i miei colleghi avevano degli esperimenti da fare».

Ci parli degli esperimenti che ha seguito.

«Uno di quelli che ho gestito io riguardava lo studio e la caratterizzazione del campo magnetico terrestre per mezzo di misure assolute di campo magnetico, che consistono nella declinazione e inclinazione del vettore di campo magnetico. Praticamente, attraverso un sensore cercavo capire come fosse orientato il vettore. La misura veniva fatta tre volte a settimana. Un altro sensore, invece, vedeva le variazioni del campo magnetico, ma non vedeva il valore assoluto del campo magnetico. I dati ottenuti dai due sensori venivano, poi, fatti “baciare”. Poiché il campo magnetico si chiude sui Poli, lì le perturbazioni del cosmo non vengono più schermate e arrivano sulla Terra. Quindi, arrivano particelle cosmiche che vengono misurate con altri esperimenti. Per esempio, ci sono i neutroni cosmici. Il rilevatore conta quanti neutroni arrivano in Antartide, ovviamente non arrivano in quello stesso modo sul resto della Terra perché c’è uno scudo che protegge. Pur essendo neutri delle volte interagiscono con atomi di altre sostanze sulla Terra: in particolare, con il silicio dei circuiti integrati. Immaginiamo un aereo non protetto dall’atmosfera, che vola quindi molto in alto, e riceve neutroni sui dispositivi che regolano il volo. Se il numero di neutroni è rilevante in volo non è più sicuro. Quindi con questo esperimento sappiamo quanti dispositivi bisognerà installare sull’aereo per contrastare le interazioni.

Un altro esperimento che ho seguito è legato allo studio dei moti convettivi ionosferici. Capire come si spostano le “masse d’aria” formate da ioni all’interno della Ionosfera è molto importante perché le comunicazioni radio si lasciano influenzare notevolmente da questi movimenti. A riprova, un altro esperimento riceve segnali GPS che viaggiano su Concordia e misura la distorsione che la Ionosfera esercita sui segnali stessi. Tutto questo serve a caratterizzare la ionosfera dal punto di vista fisico e a capire qual è l’effetto distorcente che la Ionosfera esercita sui segnali radio.

Un altro esperimento condotto è quello sul buco dell’ozono. Attraverso una serie di strumenti riusciamo a reperire delle informazioni sullo stato attuale del buco dell’ozono.

Avevo anche un esperimento sismico da condurre. Erano istallati quattro sismometri per il rilevamento e la misura dei sismi. L’Antartide, più precisamente Dome C dove è costruita Concordia, non è zona sismica. Tutto quello che registrano i sismometri, dunque, non è stato generato lì. Unendo il dato rilevato a Dome C con i dati di tutti i rilevatori del mondo si riesce a capire come un terremoto generato in un punto “X” si manifesti anche in Antartide.

Il motivo per cui è importante fare delle osservazioni in Antartide è che lì tutti gli effetti negativi della presenza dell’essere umano – dall’inquinamento, al rumore, alle vibrazioni- non interferiscono perché l’essere umano non c’è».

Si sa che per partecipare a spedizioni del genere servono particolari requisiti e specifiche competenze. Come viene selezionata e formata la squadra?

«L’equipe è formata da personale scientifico e da personale logistico o di supporto. Il personale scientifico si preoccupa degli esperimenti mentre quello logistico fornisce un supporto per il funzionamento della base stessa, della sopravvivenza della squadra e delle infrastrutture necessarie agli esperimenti. Per capire meglio: l’equipe logistica è formata da un elettricista, un idraulico, un meccanico, un capo tecnico, un medico, un cuoco e un  informatico. È importante che le persone siano molto versatili e sappiano fare anche altre cose diverse dalle loro mansioni specifiche perché la collaborazione e il lavoro di squadra è l’unica speranza che si ha per una campagna produttiva e poco problematica.

Come vengono selezionati? Per quanto riguarda fronte italiano la selezione va per fasi: inizia con la candidatura spontanea attraverso il curriculum. Per questa missione sono arrivati più di mille curricula per soli quattro posti di personale logistico. Tra queste persone ne sono state selezionate 9 per tipologia. A questo punto, i candidati hanno sostenuto dei colloqui per testare le capacità tecniche e psicoattitudinali. A seguito del colloquio sono state selezionate due persone per tipologia di lavoro. Quindi è stato fatto un addestramento selettivo della durata di due settimane alla fine del quale viene formata la squadra definitiva che parte per l’Antartide. In Italia, l’addestramento prevede una prima settimana di teoria sulle caratteristiche dell’Antartide, sugli atteggiamenti da rispettare, sulla gestione incendi, sull’utilizzo delle imbragature, sul primo soccorso e recupero di uomo in mare, sul montaggio di un campo base, sulla guida dei natanti e sull’uso delle radio. La seconda settimana, invece, è incentrata sulla vita in un campo base montato in quota su Monte Bianco.  A seguito di questo addestramento viene definita la squadra, che verrà sottoposta a un’ulteriore settimana di addestramento presso il Centro Addestramento Astronauti dell’ESA a Colonia. In questa settimana si apprende come il lavoro di squadra sia l’unica via di salvezza in territori ostili, l’importanza della comunicazione chiara, come gestire eventuali conflitti e come approcciarsi alla risoluzione dei problemi che possono verificarsi. Alla fine di questa settimana l’ESA stabilisce chi ricoprirà la posizione di station leader».

Durante questi tredici mesi ci sono stati degli attriti tra i membri della squadra? Come si procede in quei casi?

«Durante la campagna invernale capitano occasioni per vedere attriti, ma si sa anche come gestirli. È importantissima la comunicazione! Un ruolo importante è ricoperto dallo station leader che deve cercare di influire positivamente sullo stato generale della spedizione, anche proponendo attività ludiche e ricreative. L’isolamento è un fenomeno che sa essere molto agguerrito e che spesso, in precedenza, ha portato a problematiche psicologiche anche molto serie. La vita in base, quindi, deve essere scandita da un tempo lavorativo e da un tempo dedicato alla convivenza. Noi per esempio abbiamo guardato dei film, abbiamo formato una band musicale, abbiamo giocato a giochi di ruolo, abbiamo organizzato delle passeggiate in comitiva e abbiamo cucinato insieme. Abbiamo fatto anche dei corsi di elettronica, siamo stati addestrati in un corso di sala operatoria, abbiamo condotto esercitazioni antincendio e di salvataggio. Abbiamo fatto anche attività in palestra e abbiamo aderito ai progetti delle “Olimpiadi Antartiche” e del “Film Festival Antartico”, che vengono organizzati in tutte le basi antartiche che aderiscono».

Un’esperienza del genere in che modo ti cambia la vita?

« Dipende dal punto di partenza personale. Ti fa capire quali siano i problemi seri e quali no nella vita. Ti fa capire davvero cosa vuol dire vivere in squadra e vivere da soli e ti rendi sempre conto che solo in squadra le cose che sembrano insormontabili sono fattibili. Un’esperienza del genere cambia anche il rapporto che hai con la natura, che lì si presenta molto aggressiva. Impari ad apprezzare cose che dai spesso per scontate: il caffè con un amico può diventare una cosa da sogno quando non ce lo hai per un anno. Un’esperienza del genere ti avvicina alla felicità!».

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Claudia Venturini

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