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Il vino, tradizione d’annata

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Il vino, dal latino vinium, ha origini antichissime. Nelle zone del Valdarno sono stati rinvenuti reperti fossili di tralci di vite (Vitis vinifera) risalenti a circa 2 milioni di anni fa. Alcuni ritrovamenti archeologici hanno accertato che la Vitis vinifera cresceva spontanea già 300.000 anni fa e studi recenti portano a pensare che i primi assaggiatori sono da ricercarsi nel neolitico. Le più antiche tracce di coltivazione della vite sono state rinvenute sulle rive del Mar Caspio e nella Turchia orientale.
Nel 1996 alcuni archeologi statunitensi hanno scoperto in un villaggio neolitico in Iran, una giara di terracotta, della capacità di 9 litri, contenente una sostanza ormai secca ricavata da grappoli d’uva. I reperti rinvenuti risalgono a 7000 anni fa, ma gli esperti sono convinti che il vino è stato prodotto per la prima volta tra 9 e 10000 anni fa nella zona del Caucaso. È storicamente accertato che la produzione su larga scala di vino è iniziata tra il 4100 e il 4000 a.C. a causa dei ritrovamenti della prima casa vinicola trovata nel complesso delle caverne in Armenia.

I primi documenti scritti sulla coltivazione della vite risalgono al 1700 a.C., ma è con la civiltà egizia che si ha lo sviluppo delle coltivazioni e di conseguenza la produzione del vino.
La Bibbia ,nella Genesi, attribuisce la scoperta della lavorazione del vino a Noè: dopo il Diluvio Universale, avrebbe piantato una vigna con il cui frutto fece del vino che bevve fino ad ubriacarsi. Il Cristianesimo considera il vino, nel sacramento dell’Eucarestia, come il sangue di Gesù Cristo, che nel corso dell’ultima Cena egli definì “per la nuova ed eterna alleanza, versato per molti in remissione dei peccati“.
Durante l’Impero romano ci fu un ulteriore produzione del vino, che passò da un prodotto per pochi ad una bevanda di uso quotidiano. In questo periodo le colture della vite si diffusero su gran parte del territorio mediterraneo. Il vino prodotto a quei tempi era completamente diverso dalla bevanda che conosciamo oggi : risultava una sostanza sciropposa, molto dolce e molto alcolica. Era quindi necessario allungarlo con acqua e aggiungere miele e spezie per ottenere un sapore più gradevole.
I popoli celtici producevano vini leggeri e dissetanti che conservavano in botti di legno.
Con il crollo dell’Impero Romano la viticoltura entra in crisi dalla quale uscirà solo nel medioevo, grazie soprattutto ai monaci benedettini e cistercensi.
Nel corso del medioevo nascono le tecniche di coltivazione e produzione che sono arrivate fino al XVIII secolo.

vinidabruzzo4L’Abruzzo è una delle regioni italiane produttrici di vino, conosciuta ed apprezzata in tutto il mondo. Gli antichi romani ne apprezzavano la bontà, anche se è necessario risalire fino al Rinascimento per avere prove certe di viticoltura: è, infatti, di questo periodo uno scritto riguardante il “vino preciso” prodotto nei conventi di Vasto e Penne. Ma in seguito, lo scritto di Andrea Bacci, ” De naturali vinorum historia”, confermò che L’Aquila aveva delle cantine capaci di contenere ben 3900 litri di vino e che la Marsica produceva vino sceltissimo, sia bianco che rosso. Vanto della nostra regione sono il Montepulciano d’Abruzzo, il Cerasuolo ed il Trebbiano d’Abruzzo, gli Alto Tirino e i Valle Peligna.

Il Montepulciano, come erroneamente si crede, non è mai stato importato dalla città toscana omonima ma ha origine in Abruzzo e prende nome dai commercianti toscani di lana che, nel suo gusto saporito e generoso, avevano ritrovato quello prodotto nella loro terra. Il Montepulciano è prodotto in tutte e quattro le provincie abruzzesi, ed è composto per 85% di uva Montepulciano, con l’aggiunta di un 15% di altri vitigni a bacca rossa. Il vino deve invecchiare nelle cantine dei produttori da cinque mesi ad un anno, in botti di rovere. In bottiglia, l’invecchiamento, può durare anche due anni ed in questo caso acquisisce la menzione di “Riserva”, purchè la gradazione alcolica non sia inferiore a 12,5°. L’invecchiamento in bottiglia del Montepulciano può raggiungere, con ottimi risultati, anche i dieci anni. Il vino è di un colore rosso rubino, con, a volte, lievi sfumature arancio; con gli anni può assumere un colore tra l’arancione ed il mattone. Il profumo è ampio, vinoso, con un lieve aroma di viola e di sottobosco. Il gusto è asciutto, ma con l’invecchiamento assume un accenno di frutta matura, diventando vellutato, generoso e morbido contemporaneamente.

Il Cerasuolo invece, viene sì prodotto in tutta la regione, ma il migliore è quello della zona aquilana. Anch’esso, come per quello rosso, è prodotto per l’85% di uva Montepulciano e per il restante 15% di uva a bacche rosse ma, a differenza del rosso, il mosto viene fatto fermentare per un tempo minore sulle bucce. Il Cerasuolo può invecchiare fino a quattro anni ma è consigliato assaporarlo giovane. Il colore varia tra il rosato scarico ed il ciliegio, brillante e vivace. Il profumo è vinoso, delicato, con una sfumatura di viola mammola, di ciliegia marasca e di sottobosco; il gusto secco, saporito ma leggero, con un retrogusto lievemente ammandorlato ed in alcuni casi accompagnato da un sentore di spezie e di frutta.

Il Trebbiano o Trebulanum, come veniva chimato nel XVII secolo, al contrario del Montepulciano non ha origini certe. Alcuni sono convinti che sia la stessa uva chiamata in tempi passati Campolese, e cugino quindi del Bombino bianco pugliese; altri, invece, sono convinti che sia originario di Loreto Aprutino. Il Trebbiano D’Abruzzo viene prodotto con l’85% di uva Trebbiano ed il restante 15% con vitigni a bacca bianca. È un vino da gustare, anch’esso, giovane ma alcune bottiglie possono invecchiare con ottimi risultati. Ha un colore giallo oro vivace e carico; un profumo leggero che a volte può trasformarsi in ampio con un leggero gusto di frutta matura, e con un apprezzabile retrogusto amarognolo.

Altri vini senza dubbio molto apprezzati sono gli Alto Tirini: bianchi, rossi e rosati, anche frizzanti, passiti e novelli, prodotti nella provincia di L’Aquila secondo il disciplinare di Indicazione geografica tipica “Alto Tirini” (Igt). Essi vengono prodotti con monovitigni, con un 85% di uva del vitigno indicato sull’etichetta. I bianchi sono: Malvasia del Chianti, Malvasia bianca di Candia, Falanghina, Greco, Incrocio Manzoni 6.0.13, Tocai Friulano, Traminer, Pecorino, Riesling, Moscato, Sylvaner verde, Pinot bianco e Mostosa. I rossi sono: Sangiovese, Ciliegiolo, Pinot nero, Aglianico e Cabernet. Della stessa tipologia sono i Valle Peligna, anch’essi bianchi, rossi, rosati, frizzanti, passiti e novelli, anch’essi aquilani con marchio Igt. Prodotti sempre con monovitigni all’85% indicati sull’etichetta. I bianchi sono: Cococciola, Falanghino, Greco,Incrocio Manzoni 6.0.13, Malvasia, Malvasia bianca di Candia, Moscato bianco, Pecorino, Pinot bianco, Pinot grigio, Riesling, Sylvaner verde, Tocai, Traminer e Verdicchio. I rossi sono Aglianico, Cabernet franc, Cabernet sauvignon, Ciliegiolo, Pinot nero e Sangiovese.
Questo per dimostrare che , nonostante l’Abruzzo non sia una delle regioni più ricche di varietà, è senza dubbio famosa in tutto il mondo. La qualità, la bravura, la tecnica dei nostri viticoltori hanno fatto sì che l’Abruzzo diventasse culla di maestri d’arte capaci di elevare la tradizione antica dei grandi vini, nel firmamento mondiale. E come dice un vecchio proverbio popolare “il vino fa buon sangue”, e “buon sangue non mente”, così dopo essere stati famosi per eroi, martiri, letterati, pittori, scultori, prelati e briganti, siamo ora celebri per aver prodotto il miglior nettare degli dei: il vino d’Abruzzo.

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Roberta De Santi

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