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Aspetti della giurisdizione delegata nella Marsica durante il viceregno spagnolo e austriaco
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Grotta di Sant'Agata
La grotta di Sant'Agata
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Luigi Colantoni (1843-1925), canonico, vicario capitolare e ispettore ai monumenti
Questo articolo su Luigi Colantoni segue quello interessante dell’amico Fiorenzo Amiconi apparso su Terre Marsicane lo scorso 24 dicembre 2019 e vuole essere una integrazione ed un completamento di quanto...
I banditi Marco Sciarra e Alfonso Piccolomini
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Nasce in località San Carlo all’Arena (Napoli) alle ore venti del 3 ottobre del 1848 in quell’epoca l’intera regione si chiamava ancora “Regno delle due Sicilie”. Fu battezzato nella splendida chiesa barocca...
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Il termine “salario”: un altro etimo imprevisto

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NECROLOGI MARSICA

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«La via Salaria ―affermano i più con una cert’aria di stupore mista talora a saccenteria ― è così chiamata perché venne costruita per portare il sale dalle saline del Lazio costiero alla Sabina, a nord-est di Roma spingendosi fino ai Piceni sul mare Adriatico. Oppure ci si corregge dicendo che il nome deriva dal fatto che lungo quella via avveniva il trasporto essenziale del sale. Questa seconda affermazione credo che si sia resa necessaria quando ci si rese conto che la prima effettivamente non sembra accettabile.  Si è mai costruita in effetti una strada solo perché essa dovesse permettere il trasporto di questo sia pur importante alimento o di qualche altra merce? Molto probabilmente prima che la strada venisse resa carreggiabile esisteva già un tracciato percorribile da animali da soma che trasportavano di tutto compreso il sale, tracciato che poteva avere già il suo nome originario che magari andava a perdersi nella notte dei tempi. In questi casi il nome poteva trarre origine dalla natura essenziale della strada, cioè proprio dal suo essere un percorso, una mulattiera, una via.   Esiste in sanscrito infatti una radice sar-, sal- col significato base di ‘andare, scorrere’ che andrebbe a pennello per la denominazione di una via.  Ma c’è anche chi suppone che la Salaria fu così chiamata perché collegava il Tirreno all’Adriatico, dal lat. sal-u(m) ‘mare’. Non mancano,poi, nella odonomastica le vie Salara, Salera o del Sale.

Con la stessa sicurezza si afferma da molti che il lat. sal-ari-u(m) ‘salario, paga, stipendio’ prende il suo nome dal fatto che i soldati e i magistrati venivano pagati con razioni di sale, alimento certamente prezioso oggi ma soprattutto allora.  La prima difficoltà per questa opinione la si incontra quando si viene ad appurare che i soldati romani, almeno all’inizio, non venivano pagati con razioni di sale: il cittadino romano, divenuto soldato, pagava di tasca propria tutto ciò che serviva al suo mantenimento (non solo il sale!) e al suo armamento, somma che però, da quando fu a lui assegnato uno stipendi-u(m) ‘stipendio’, veniva defalcata da esso in anticipo.  Sicchè qualcuno, per evitare l’impasse nella spiegazione del termine, suppone che comunque ci deve essere stato un periodo in cui il sale costituiva lo stipendio o parte di esso. Ora, si può anche pensare che lat. sal-ari-u(m) indicasse una razione di sale, ma riesce difficile credere che questo fatto avesse dato il nome all’intero stipendio.  Quando si tratta di trovare l’etimo di parole antiche ―e sono le più numerose ― si cade facilmente nel tranello di spiegarle ricorrendo esclusivamente al lessico della lingua cui esse appartengono.  Si pensa, insomma, che  prima di andare a cercare altrove bisogna a tutti i costi non distogliere lo sguardo dalle parole della stessa lingua che possono prestarsi alla comprensione di esse come avviene qui con il lat. sal-e(m) ‘sale’.

Non è ammissibile però supporre che una lingua nasca come a tavolino e che possegga parole, almeno nella maggioranza, che siano pura espressione di un’unica civiltà d’origine: quella che le avrebbe create secondo uno spirito rintracciabile nelle parole stesse. Nulla di più falso, invece, secondo il mio modo di vedere le cose.  Chi potrà mai, in un organismo che si perpetua da decine di migliaia di anni, come quello della lingua, rintracciare tutti gli innumerevoli rivoli che invece hanno dato vita ad esso e nello stesso tempo lo hanno via via modificato, lentamente ma inesorabilmente?  E’ normale che accanto ad una parola facente parte di quella lingua da epoche immemorabili ne viva un’altra simile nella forma ma trascinata da un rivolo diverso immessosi in quel lessico solo successivamente nel tempo, di poco o di molto.  In questo senso il concetto di purezza di una lingua è solo espressione dell’orgoglio dell’uomo che non vuole morire nell’animo di ciascuno di noi, il quale è portato a credere di essere detentore di una lingua particolare, quasi avulsa da quelle degli altri.  Abbiamo dovuto già subire nel secolo scorso le nefaste conseguenze politiche legate al concetto di razza, concetto scientificamente falso. Ed io sostengo che tutte le lingue del mondo si sono formate da uno stesso meccanismo di fondo, la cui regola principale è l’estrema volatilità dei significati delle parole i quali derivano, a mio parere, da un solo concetto primordiale, così generico che non lo si può delimitare con precisione: spinta, forza, anima, vita, ecc.

Ora, tornando alla radice sal-, credo si possano fare interessanti osservazioni circa alcune espressioni che la contengono, come quella ricorrente nel veneto lagunare che suona ciapà la sàla (con la /s/ sonora) ‘prendere il cibo della giornata’[1].  L’espressione, usata dai pescatori di ritorno dalla pesca, indicava il pagamento in natura che essi ricevevano dal datore di lavoro.  Solo che il significato letterale è ’prendere la gialla’, cioè – si interpreta- la farina di mais per fare la polenta.

La mia supposizione, invece, è che sia nella parola sal-ari-u(m) ’salario’ sopra citata, sia in questa voce veneta sàla ‘gialla’ ci sia nel fondo, prima degli incroci della radice rispettivamente con le voci per ‘sale’ e per ‘gialla’, proprio il significato di ‘paga, pagamento’ in denaro o in natura.  Infatti nel diritto germanico il termine sala indicava i documenti di rito con cui si attuava il passaggio di proprietà. Il termine doveva essere legato quindi al concetto di “vendita” o “acquisto”[2].   Non per nulla in inglese si incontra il sostantivo sale ‘vendita’ e il verbo sell (sold,sold) ‘vendere’ che in dialetti americani presenta un passato salde e un part. passato gesald, con radice preceduta dal prefisso ge-, usuale nei part. passati tedeschi[3].  Il bello è che in inglese si incontra anche l’espressione idiomatica to be worth one’s salt ‘essere competente, capace’ ma, letteralmente, ’valere la propria paga (sale)’, in altri termini cioè “ben guadagnarsi, con abilità e impegno, il proprio stipendio”, sia esso in denaro che in natura. E in quest’ultimo significato esso poteva concretizzarsi in ogni specie di cibo per il proprio sostentamento e quello della famiglia.  Anche in questo caso ritorna, come vediamo, il concetto di “sale” (ingl. salt) ad intorbidare le acque. E gli esegeti ci raccontano ancora una volta la falsa storia del pagamento dei soldati romani che avveniva col sale.  Sta di fatto che l’ingl. salt ‘sale’ è molto simile formalmente all’ingl. sale ‘vendita’ e non è affatto impensabile che nella notte dei tempi il termine si sia incrociato con quello per ‘sale’ confondendo le nostre idee, a meno che non abbiamo elaborato un metodo adatto che ci consenta di andare più in profondità rispetto allo strato superiore in cui il concetto di “sale “ la fa da padrone.  Inoltre in ant. norreno, lingua germanica, la voce sal valeva proprio ‘pagamento’.

Per le radici di it. sald-are, sia nel significato di ‘connettere stabilmente (metalli o altro)’ sia in quello di ‘pagare, chiudere’ riferito a conto o debito, sono propenso  a considerare sald– una variante, sin dall’origine, di quella dell’aggettivo it. sol-ido, e legata per vie molto profonde allo stesso concetto di “sale”: un solido cristallino composto di granuli simili a pietruzze nella forma.  Così si spiega anche il termine it. sal-gemma specializzatosi ad indicare il sale minerale, mentre all’inizio doveva indicare genericamente il sale, anche quello marino.  Sappiamo che in lat. il termine gemma valeva anche ‘pietra, pietra preziosa’.  Ma anche il lat. sal-e(m) ‘sale’ doveva indicare un granello o qualcosa di simile se si pon mente all’abruzzese sal-éttë ‘ghiaieto, greto (di un fiume)’, luogo appunto pieno di ghiaia e ciottoli[4]. Quindi sal-gemma nacque come composto tautologico per ‘sale’, anche se in latino esso non c’è. Per il mediolatino sal-petr-a(m) ‘salnitro’ vale lo stesso ragionamento: all’inizio la parola era un termine generico per ‘sale’ specializzatosi poi ad indicare quel tipo di sale prodotto da umide pietre e calcinacci. Il lat. pl. sal-es significava proprio ‘granelli di sale’ ma non perché, a mio avviso, questi granelli sono formati dalla materia sale (sineddoche), ma perché all’origine sal-, da solo, valeva proprio ‘granello, pietruzza’.

Lo stesso it. pag-are a mio avviso non deriva direttamente dal lat. pac-are il quale, a detta di tutti i linguisti rinvierebbe al lat. pac-e(m) ’pace’  con la spiegazione che il pagamento metterebbe in pace il debitore (la lingua non opera in questo modo indiretto!).  Si tratta sempre della stessa radice pac- / pag- ma nel significato di ‘pattuire, fissare (un prezzo)’, senza passare per il significato più specializzato di pace, la quale comunque è sempre un portato del significato di ‘pattuire, concordare’.  Non c’è di ciò dimostrazione più chiara della frase latina di Ovidio non fuit armillas tanti pepigisse Sabinas ‘non era necessario acquistare (pagare) i braccialetti sabini a così caro prezzo’[5].  Letteralmente il nesso tanti pe-pig-isse vale ‘aver fissato, pattuito a così alto prezzo (tanti)’. L’infinito perfetto pe-pig-isse è relativo al verbo lat. pango, is, pe-pigi, pactum, pang-ere, un verbo che contiene la radice pac-/pag- di cui sopra.

NOTE

[1] Cfr. M. Cortelazzo-C. Marcato, I dialetti italiani. UTET, Torino, 1998 s. v. sala.

[2] Cfr. T. De Mauro, Il dizionario della lingua italiana, Paravia, B. Mondadori edit., 2000.

[3] Cfr.   la voce sold nel vocab. Merriam-Webster.

[4] Cfr. D. Bielli, Vocabolario abruzzese, Adelmo Polla edit., Cerchio-Aq  2004.

[5] La frase è spesso citata nei vocabolari scolastici sub v. pangere

 

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Pietro Maccallini

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