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Il racconto sul terremoto aquilano della scrittrice marsicana Cesidia Gianfelice selezionato al Concorso “Racconti dall’Abruzzo e dal Molise”

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Ortucchio – Il racconto sul terremoto di L’Aquila avvenuto nel 2009 della scrittrice di Ortucchio Cesidia Gianfelice è stato selezionato al Concorso letterario Nazionale “Racconti dall’Abruzzo e dal Molise”.

Il racconto è stato scelto tra i numerosissimi racconti pervenuti e sarà inserito nell’antologia edita da Historica Edizioni, restando immortalato non solo nel cuore dell’intera Marsica ma anche nella letteratura italiana.

Vi riportiamo di seguito il racconto.

Quando la terra grida

Quell’alba mai baciata dal sole (13/01/1915)

In quella notte solitaria e stanca,

dita oscure s’abbassarono , vagando,

nel ricoprir di pianto la natura

dispersa nel gelo riflessa nel frammento d’un antico lago .

 

In quella notte un canto di civetta sopra un ramo

agghiacciò di paura persino un roditore,

che , con dolenza e sempiterna pena,

ricercava un qualche rifugio tra le zolle.

 

In quella notte s’udì , dapprima, un silenzio serbato

poi un sussurrar di fonte sprofondar in rumori alterni, sempre più forti,

vaganti tra le gemme dell’oscuro

e tutto sembrò allontanarsi : persino la luna

 

Così sinistra parve quella notte, un cane latrava e le faceva compagnia,

forse anche lui era in cerca della mano che gli facesse scordar l’abbandono.

Notte, perché non placasti l’ira della Terra , accudendone ogni tremor,

col tuo manto di velluto e non cercasti la luce nascosta dalle macerie,

prima di fuggir via come una spietata ladra?

Notte non udisti il pianto dei tuoi figli?

Non vedesti i loro corpi insanguinati sprofondar nel nulla,

ingoiati dalle loro umili dimore? Non tremasti dinanzi al singhiozzar degli orfani?

E tu, Alba , perché non svegliasti, con arguto grido ,anche le stelle vagabonde,
nel navigar sul lago di luna , che fendeva deciso … le ombre e la notte.

Perché non scartocciasti le nubi …. dai gusci di ghiaccio

affinché allontanassero dal tuo grembo la morte.

 Alba di quel giorno lontano ,immortalato nella storia ,

sei ancora lì ad attendere il tuo sospirato sole ,

mentre quella civetta va cantando ancora

nel sonno tumultuoso d’ogni notte.

 E la storia, come un cane che morde la sua coda, si ripete…si ripete sempre…e…per sempre uguale a stessa, continua a suonare quella imperscrutabile melodia che l’intero mondo fa danzare…

 L’Aquila 06/04/2009

 

Credo d’essere una specie di gufo, mi vedo appollaiato su di una splendida fontana illuminata da mille luci colorate che contemplo la città catturata dai sogni, tutto intorno tace.

Guardo il cielo, mentre centinaia di stelle invitano a danzare una strana luna scarlatta,
un boato infernale soffoca il silenzio.

Ogni cosa prende a tremare, no! Sembra che cresca d’intensità ogni secondo di più…di più…ancora di più…sembra che la natura voglia rivendicare il suo dominio.

Ho paura…spicco il volo ma…non riesco a volare.

L’acqua zampilla lontano, altrove.

Un buio apocalittico soffoca la città.

Sotto il mio sguardo palazzi sprofondano nel nulla, castelli di sabbia in preda all’alta marea, prigioni di morte per mille anime ancora palpitanti.

Grida strazianti si riversano sulle strade senza alcun pudore.

Urla lontane impercettibili di chi cerca, invano, le proprie creature stroncate nella loro primavera.

Non riesco più a volare, ho le piume appesantite da polvere di cemento, inzuppate dalle lacrime aspre di chi non può più amare, di chi continuerà, invano, a sperare.
***
Adesso m’è chiaro il rossore con cui vestiva la luna questa sera, forse rifletteva dapprima il

sangue che dopo avrebbe visto versare!

Non guardarmi così anche tu, non riesco a tenere la penna in mano … ho ancora tanta paura. No! Che credi, non è stato, purtroppo, solo un brutto sogno.

Attacchi di panico … cerchi di aprire la bocca, piano piano ma … senti le mandibole scricchiolare, ad ogni respiro ti sembra d’ espirare fuoco cosicché ordini ai polmoni di inspirare ossigeno ma … hanno troppa paura, non rispondono al tuo comando neppure se, allungando la mano, riuscissi a prendere l’aria e, facendola a pezzettini, gliela infilzeresti con forza dentro. Le labbra si stringono intorpidite, dalla gola fuoriesce solamente un ansito asfissiante, le braccia tremano mentre le dita continuano a contorcersi , non riesci a percepire altro che il battito veloce del tuo cuore, simile ad un martello pneumatico che ti fa pulsare il sangue negli orecchi , le gambe poi … piedistalli di marmo. Rivoli di sudore gelido avvolgono tutto il tuo corpo fino ad intaccarne l’anima, vorresti gridare all’infinito per cancellare tutto quel sangue, per dimenticare tutto il tempo che si è privato ai propri figli in cambio di una calda dimora ed invece, basta un soffio e… di tutte le inutili fatiche d’un’intera vita, che resta? Solamente polvere di cemento.
No! Non puoi urlare, dovresti per forza respirare e tu non ne avresti la forza e poi .. …incontri il tuo volto nello specchietto retrovisore e vorresti sputare addosso a tutta quella paura che da esso traspare quando ti rendi conto che, almeno i tuoi figli, il solo bene prezioso che veramente possiedi , sono lì al sicuro con te e che, in quel momento, hanno tanto bisogno del tuo coraggio per riuscire ad ingoiare tutto l’orrore che invece si respira abbassando appena i finestrini.

Continuo a battere le palpebre per bloccare le lacrime e continuare a scrivere ma, m’è ancora impossibile … scorgere lo sguardo d’un gufo è presagio malefico, così si è soliti credere, ma, come t’ho detto…n quel momento null’altro mirava che alle splendide stelle .
7/04/2009

Son di nuovo immersa nelle viscere di quel sogno maledetto ma… questa volta …in una città fantasma. Stanotte il buio è ancora più fitto.

Neppure la luna rossa è qui a farmi compagnia.

Nella mia mente fotocopie sbiadite di un passato, non molto lontano, proiettano cortometraggi di turisti affascinati dalle meraviglie ancestrali, di giovani amanti nascosti, travolti dalla passione, di bambini incontaminati, nella loro ingenuità, da ogni barlume di tristezza, di sguardi giovani intrappolati tra i libri, di piccoli avvintati alle proprie madri sui divani delle proprie case.

Nulla più di tutto questo … solamente polvere di cemento.

Il fetore della morte ha intrappolato per sempre l’aroma di caffè dei bar affollati lasciandoci in cambio, solamente, corpi immobili sotto queste maledette macerie.

Scuoto violentemente le mie ali, un vento cenere m’avvolge.

No! Non ce la faccio ad aiutarli, è tutto dannatamente pesante. Scorgo lontano l’ombra di una gelida mano che stringe forte a sé un cucciolo, ancora tiepido ma … rosso più della mia luna … quanta tenerezza e quante speranze stroncate in un soffio di vento …

Aiutatemi…i…i…i.

Ma … il mio grido è invano, questo corpicino straziato non risponde neppure al mio con-ti-nuo bec-ca-rlo.

Nessuno può sfidare il sopraggiungere della morte.

Finalmente un esercito di angeli strappa le piume alle proprie ali pur di sollevare macigni, si rinvengono, così, a mani nude, mille anime, tanto dolore e…troppe poche speranze per riuscire a dimenticare.

10/04/2009

Vagando per quel paesaggio lunare, in una città simile ad un enorme castello di sabbia appena calpestato dalla forza di mille elefanti, i volti della gente, soffocati da una sorta di nube radioattiva , si distinguevano a malapena, ciò che invece spiccava era il candore di quelle piccole bare bianche lì, in prima fila, davanti a centinaia di altre ben allineate l’una accanto all’altra, molte delle quali rivendicavano, nel silenzio e nella solitudine, la propria identità celata da un perfido destino.

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Laura Gemini

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