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Quinto Poppedio Silone: un eroe marsicano

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Nel 1814 nella contrada ” Le Rosce “, sulla riva destra del sacro fiume Giovenco, a Sud del paese di Ortona, fu ritrovato un cippo sepolcrale su cui era incisa questa scritta:

POPPEDIA. P. F. SECUNDA
FILIAE. OSSA. SITA. FITAE.
M. F. MATRI. OSSA. SITA.
Da questo gli studiosi capirono che là erano state sepolte la moglie e la figlia di Poppedio Silone. Ma chi era questo personaggio? Quinto Poppedio Silone, in lingua latina Quintus Poppaedius Silo, trascritto anche come Pompaedius, è stato uno dei due comandanti in capo degli Italici ribelli nella Guerra sociale contro Roma.
Sostenitore dei diritti delle popolazioni italiche, fu grande amico del tribuno Marco Livio Druso, prima di diventare il più grande condottiero marso nella ribellione italica. Dopo la distruzione di Milionia i Sanniti si ritirarono nelle loro regioni .

Nella Marsica però, avendo fondato la città di Alba Fucens, presso l’odierna Avezzano, stanziarono la loro guarnigione militare. I nativi della sfortunata Milionía si sparsero come semi nella valle del fiume Giovenco, dando origine alle località che oggi ancora conosciamo. Circa cento anni prima di Cristo, proprio in questi posti viveva una famiglia, che ha lasciato il suo nome nella storia del popolo marso, in uno dei momenti più drammatici per loro e per Roma: la rivolta dei popoli italici contro l’Urbe per ottenere la cittadinanza romana.

Questa famiglia è la famiglia Poppedia, dalla quale è nato Quinto Poppedio Silone. La famiglia Poppedia era imparentata con la famiglia Vezia di Marruvium, uno dei centri più importanti della Marsica in quell’epoca, che sorgeva sulle rive del lago Fucino, dove attualmente c’è San Benedetto dei Marsi. La famiglia Poppedia aveva molti contatti con Roma, specialmente con il partito favorevole ai diritti degli Italici, e svolgeva un’azione diplomatica per risolvere la situazione pacificamente. Poppedio Silone intercedette per la causa marsicana tramite il tributo Marco Livio Druso.

Questi fece in seguito anche delle proposte concrete al Senato per risolvere la questione, ma ottenne solo di essere ucciso ai piedi della statua del padre. Questo evento tragico fece perdere al Marsicano qualsiasi fiducia e speranza in una soluzione pacifica della controversia. Si arrivò così alla rivolta armata dei popoli Italici, che comprendevano gran parte dell’Abruzzo, delle Marche e del Sannio.

Essi si costituirono in federazione, elessero a capitale Corfinio, batterono moneta propria (un pezzo portava la scritta in latino e in lingua osca Italia), formarono un senato e un esercito come quelli dei Romani e diedero inizio alla ” Guerra Italica ” o ” Guerra Marsa “. I due consoli che conducevano gli eserciti italici furono Caio Papilio Mutilo, a Sud del Sannio, e Quinto Poppedio Silone, sotto il cui comando militavano le forze dei Marsi, dei Peligni, dei Vestini, dei Marrucini, dei Frentani. Certamente le sue imprese dovettero fare non poca impressione alla gente di allora, se i Confederati di Corfinio, intorno alla metà dell’anno 90 a. C., dopo una strepitosa vittoria di Silone sui Romani condotti da Quinto Cepione coniarono perfino delle monete, che recavano la scena del giuramento degli Italici con la scritta ” Q. SILO ” (Quintus Silo = Quinto Poppedio Silone).

L’anno seguente, 89 a. C., si trovò di fronte Caio Mario, che lo sconfisse in due battaglie, una ad Alba Fucens e un’altra nella Val Comino. Successivamente Silone, riorganizzato il suo esercito, vinse su Porcio Catone, il quale lasciò la vita sul campo.

I Romani, intanto, aggirando i Marsicani, sconfiggevano le altre forze italiche e occupavano la capitale Corfinio. Successivamente il generale romano Silla inseguì gli Italici fin nel Sannio e nell’Apulia. Poppedio Silone, riunitosi anch’egli con i resti dell’esercito italico, condotto da Mario Ignazio, fu costretto a combattere contro il pretore Metello, e fu sconfitto. Silone Poppedio condottiero dei Marsi, primo responsabile dell’avvenimento, cadde in battaglia ma i suoi sforzi ottennero il successo sperato e gli Italici ebbero al fine la cittadinanza romana.

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Roberta De Santi

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