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Giuseppe Del Re e la Marsica (1830-1835)

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NECROLOGI MARSICA

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Giuseppe Del Re|

La seconda metà dell’Ottocento fu un secolo di rivoluzioni, con il declino della dinastia borbonica del regno di Napoli e l’avvento prorompente del nuovo regno d’Italia.

I fermenti delle sanguinose sommosse europee sconvolsero un regime che, subito dopo la Restaurazione (1815), aveva tentato di riorganizzare l’apparato giuridico – amministrativo, pur rimanendo l’Abruzzo e, in particolar modo la Marsica, una provincia periferica.

Occorre esaminare una carta topografica degli anni ’50 dell’Ottocento per scorgere i caratteri geografici di un isolamento dovuto a una zona montuosa a ridosso della frontiera pontificia: le strade che dal capoluogo del distretto (Avezzano) si dipanavano in direzione Est-Ovest e Sud, terminavano a Tagliacozzo, oppure sotto il regio tratturo di Celano; unica via importante che portava a Napoli era la «rotabile» Avezzano – Sora.

Ovviamente, quando la strada era classificata ruotabile (cioè transitabile con carri), s’intendeva una carrareccia piene di buche, con dei bruschi percorsi impraticabili durante la stagione invernale; le comunicazioni tra paesi limitrofi (come ben si nota nella mappa), erano ridotte a scomodi tracciati e pericolose mulattiere.

In una delle importanti indagini territoriali (1830-1835), eseguita per il governo borbonico da Giuseppe Del Re «uomo di vasta cultura, versato negli studi economici e giuridici», l’Abruzzo Ulteriore Secondo era indicato come «il paese più settentrionale de’ Reali Domini al di qua del Faro… I suoi abitanti montano a 278.636: vivono in complesso circa 146 in ogni miglio quadrato; ed ognuno ha pel sostegno della vita circa 4 moggi di terreni. Il paese è quasi tutto montuoso». Nel primo capitolo, possiamo leggere una lunga e dettagliata descrizione della Marsica, vista attraverso prospetti topografici fisici, circoscrizioni e dimensioni amministrative, estensione delle terre produttive e classificazione degli abitanti.

L’analisi del territorio prende in considerazione trentuno paesi, compresi i capoluoghi di circondario, riprendendo anche le affermazioni di studiosi dei secoli precedenti che avevano affrontato la topografia «georgica – geologica e memorie antiche» dell’intera area presa in esame. A raffronto delle sue tesi, sono ampiamente citati: Plinio, Livio, Cluverio, Febonio, Olstenio, Corsignani, Brocchi e lo studioso avezzanese Angelo Minicucci. Oltretutto, citazioni latine e utili toponimi, illustrano le fasi salienti delle storie di Angitia, Archippe, Alba Fucens. Non poteva mancare la descrizione della famosa battaglia dei Piani Palentini, che vide protagonista e vincitore Carlo I d’Angiò.

Analizzando i dati della «Circoscrizione e popolazione del Distretto di Avezzano» si nota che in quel periodo il paese più popoloso era Celano con ben 4.087 abitanti, seguito da Avezzano con 3.166 e Pescina con 2.839. I rapporti giornalieri «col limitrofo Stato della Chiesa in oggetti di traffico hanno trasmesso agli abitanti dialetto, accento e modi romani» (1). In totale la popolazione del distretto di Avezzano, con riferimento agli anni 1834-35, ammontava a 236.062 abitanti. Ai confini orientali comprendeva il circondario di Gioia dei Marsi; ad occidente quello di Carsoli; al limite settentrionale il circondario di Celano e in quello meridionale Civitella Roveto. La vegetazione delle aspre montagne marsicane era caratterizzata da fitte boscaglie, specialmente in prossimità di Pescasseroli, Lecce, Collelongo e Villavallelonga, zone molto pericolose perché frequentate da numerosi orsi, lupi e briganti. In continuità con la narrazione toponomastica si legge: «Dalla contrada di Pescina si stende a quella di Tagliacozzo una vasta pianura, denominata Vallata Marsicana, cinta da alte e basse eminenze a coltura, ed allagata in parte dal Lago Fucino. Verso la sua estremità orientale e presso la riva del detto lago sedeva S.Benedetto Marruvium, primaria città de’ Marsi».

In tempo reale, Del Re ci riferisce che in quel periodo erano in corso lavori ai trentatre pozzi verticali, dove: «Una gran macchina somigliante a quella che adoprasi nelle miniere, è addetta sulla parte superiore dell’Emissario allo spurgo che fassi da pozzi espressamente votati là dove riesce penosa e lunga l’esecuzione per l’interno de’ cunicoli […] Il lavoro dello spurgo si è cominciato dalla parte di Capistrello, e si trova al presente inoltrato al di là di un miglio e mezzo, all’infuori della parte scoperta nel 1828 dall’Ingegnere Massari al di sotto del Salviano. Non rimane ad espurgarsi che poco più di un miglio, in cui si spera di trovar tratti non ripieni di limo, come attestano i lavori attuali. Quando l’intera opera di nettamento dell’Emissario sarà pienamente portata nello stato de’ tempi di Claudio, tutta la spesa non oltrepasserà ottantamila ducati». Altri centomila ducati occorrevano per: «i lavori di arte non meno per raddrizzare tutti i gomiti e tutte le montuosità e assicurare le pareti ed il cielo dell’Emissario, ove manca il sostegno della roccia calcarea». Per evitare queste enormi spese ricorrenti, lo studioso suggerì al governo borbonico un totale prosciugamento del Fucino, dal quale si potevano ricavare circa quarantasette miglia quadrate di terreni fertili: «le quali corrispondono a 318.871 coppe di Avezzano, ognuna di 7.225 palmi quadrati, e per esse si otterrebbe ogn’anno un fitto al di là di 300mila ducati, il quale potrebbe divenir maggiore, se le deposizioni limose del fondo e del lembo contenessero qualità buone e feconde» (2).

  1. G.Del Re, Descrizione topografica fisica economica politica de’ Reali Dominj al qua del Faro nel Regno delle Due Sicilie con cenni storici fin da’ tempi avanti il dominio de’ Romani, Tomo II, Tip. Dentro la Pietà de’ Turchini, Napoli 1835, pp. 115-224. Nella rivista napoletana Poliorama Pittoresco (1838-1845), Mariano D’Ayala ci riferisce che per questa monumentale opera (I vol. edito nel 1829), Giuseppe Del Re vinse la medaglia d’oro offerta dalla Società Statistica di Parigi (p.224). Dopo i moti del 1848, minacciato dalla polizia borbonica perché d’idee liberali, fuggì nello Stato pontificio, seguito da una condanna a diciannove anni, emessa in contumacia dalla Gran Corte criminale.

  2. G.Del Re, cit., pp.218-219.

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Fulvio D'Amore ricercatore e saggista

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