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Fucino: storia di un lago

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Marsica – La lunga storia del lago del Fucino ha inizio in epoca glaciale, quando esso occupava anche i Campi Palentini, fin presso l’attuale Magliano de’ Marsi. La sua superficie raggiungeva i 155 Km2, la profondità massima era di 22 metri; era quindi il terzo lago d’Italia per estensione (dopo il Garda ed il Maggiore), e il primo dell’Italia peninsulare (superiore al Trasimeno), oltre ad essere il più elevato dei grandi laghi italiani (si trovava ad un’altitudine media di 669 metri).

Abitato da cigni regali, cicogne dal candido piumaggio, anatre selvatiche ed uccelli dai variopinti mantelli; circondato da magnolie dal soave profumo, oleandri colorati, camelie delicate, agavi, lauri, ombrose palme, ulivi, ciliegi, faggi, pioppi ed abeti, il lago prese il nome di “Fucino” dalle sue trasparenti acque.

La parola “Fucino” ha varie origini. Secondo il poeta greco Licofrone deriva da “Forco”, che vuol dire “lucente”; un’altra ipotesi lo lega a “Bocca d’acqua” (pu-ini) che nel corso del tempo hanno acquistato la “C” diventando “pu-c-ini” ovvero “Fucino”. Chiamato anche lago dei “Volsci”, a causa di una battaglia svoltasi sulle sue rive tra il popolo dei Volsci e quello dei Romani, o lago di Celano, per la grandezza del paese omonimo, fu comunque sempre lago di Fucino.

Esso era alimentato da nove torrenti e da acqua di infiltrazione provenienti da un bacino di alimentazione di complessivi 889 Km2. Poiché era privo di emissari naturali visibili, (una parte delle acque si disperdeva attraverso inghiottitoi), aveva un regime estremamente variabile. Inoltre, i torrenti in piena, portavano una grande quantità di materiali che ne sollevavano il fondo con relativa rapidità (in 18 secoli il fondo si alzò di circa 8 metri). Le inondazioni sui terreni e sugli abitati vicini divennero perciò sempre più frequenti e pericolose.

Il primo progetto di prosciugamento del lago, per trasformarne il fondo in superficie coltivabile, risale a Giulio Cesare, spinto da una terrificante e cruenta inondazione con successiva carestia che distrusse in modo drastico tutto ciò che si ergeva sulle rive, ma che fu ucciso prima di imbarcarsi nell’ impresa. Si dovette aspettare il 52 d.C., sotto l’imperatore Claudio, per dare inizio ai lavori con la costruzione di un canale emissario sotterraneo, attraverso il Monte Salviano, capace di coinvolgere le acque del lago nel fiume Liri. Questa grandiosa opera costò 100 mila euro, 11 anni di lavori forzati per 39 mila schiavi. L’inaugurazione del canale ebbe luogo con una storica battaglia sulle acque del lago fucense, e ben 19 mila galeotti morirono nella rappresentazione, macchiando di rosso la terra toccata dalle onde, ma non solo.

A causa delle varie frane, l’apertura delle dighe causarono un’ onda che si abbattè sul palco della famiglia imperiale. Uno scritto di Tacito ci illustra così l’avvenimento:” Le acque si precipitarono con tal furia, da trascinar seco le cose vicine e smuoverle lontano, e ognuno rimase esterrefatto. . “ ridottosi il pericolo delle inondazioni, le colture aumentarono e la Marsica divenne fiorentissima. Purtroppo la galleria romana non resse a lungo e l’emissario iniziò a ostruirsi. Pur nel parziale fallimento, il cunicolo di Claudio, permise che il livello del lago non subisse alterazioni rimanendo costante, ed impedendo così catastrofiche inondazioni.

Ma il benessere durò poco e con le numerose invasioni barbariche, lo scarso interesse dei nuovi conquistatori all’agricoltura, l’emissario si chiuse quasi del tutto, così ogni cosa, lentamente, tornò come prima tra miseria e stenti. Nel Medioevo l’emissario si chiuse completamente ed il Fucino tornò ad essere un lago chiuso. Progetti e tentativi di restauro furono fatti avarie riprese ad opera di personaggi come Federico II di Svevia, Alfonso D’Aragona, Federico IV di Borbone, Papa Sisto, ma senza successo alcuno. Nel 1836 Afan De Rivera fece un nuovo progetto per commissione del re Ferdinando II di Borbone, ma solo nel 1838 fu approvato e si dovette aspettare il 1852 perché Tommaso Dagiout facesse domanda al re per ottenere la concessione dei lavori con la conseguente approvazione. Il Principe Alessandro Torlonia colse al volo l’occasione e si promosse come maggiore azionista dell’Anonima Reggia Napoletana, la società che ottenne la concessione per il prosciugamento del lago in cambio del possesso delle terre emerse.

Rimasto il solo azionista, Torlonia si conquistò i clamori della storia con il detto “o io prosciugo il Fucino, o il Fucino prosciuga me.” Sfruttando gli studi eseguiti in precedenza, Torlonia raggiunse il suo scopo grazie anche all’aiuto dell’ingegnere Alessandro Brisse. Per prima cosa venne costruito un nuovo emissario di maggiori dimensioni e con presa più bassa rispetto a quello di Claudio, in modo da prosciugare l’intero lago. Compiuto l’emissario, lungo 6,3 Km, con grandissima difficoltà e spesa, il 9 agosto 1862 le prime acque cominciarono ad incanalarsi nel nuovo emissario. Un tuono incredibile, pari al lamento lugubre di un gigante, accompagnò l’emissione delle acque nelle gallerie ed il nuvolone fitto che si levò, sottolineò la sicurezza degli abitati limitrofi che l’amato eppur odiato lago se ne stava andando via per l’eternità.

L’enorme massa d’acqua impiegò ben 25 lunghi anni per svanire completamente con l’aiuto di 400 mila operai ed una spesa di 20 mila euro. Nel 1870 si iniziò la sistemazione idraulica del bacino tramite la costruzione di un grande canale collettore e di una fitta rete di canali minori: oggi si contano circa 100 km. di canali principali e 680 di canali secondari e fossati. Nel 1875 re Vittorio Emanuele II, in riconoscimento di tale mastodontica opera, conferì il titolo di “Principe del Fucino” a Torlonia e 16.507 ettari di terreno vennero alla luce. Si è poi costruita una buona rete di strade: attorno al bacino si snoda per 52 Km. una strada principale e numerose strade rettilinee l’attraversano. Dei 16.507 ettari, 2.500 ettari furono dati agli abitanti del luogo, un’altra ai comuni rivareschi ed il resto rimase di proprietà dei Torlonia. Nelle nuove terre si insediarono numerosi coloni provenienti dalle altre parti d’Abruzzo, delle Marche e della Romagna.

Nel 1886 iniziarono le lotte dei contadini contro Torlonia per il possesso della terra. Dopo numerosi arresti, feriti e morti, nel 1951 si ottenne l’esproprio delle terre a Torlonia: era il tramonto di un’epoca dura che aveva visto la scomparsa dei marinai a favore dei contadini. Nel 1953 finalmente il Governo varò la Riforma agraria. Dopo la Seconda Guerra Mondiale fu costituito l’Ente Maremma e Fucino, dal quale nel 1954 si staccò come autonomo l’Ente Fucino, per effettuare l’esproprio dei terreni trasferiti all’ente stesso per la bonifica e la trasformazione fondiaria, ai fini della formazione della proprietà contadina. Oggi nella conca del Fucino vive un grande popolo, in maggioranza legate a quelle stesse terre che un tempo erano sotto le limpide acque del lago.

Oggi il Fucino non appartiene più ai pescatori del lago, niente più canti e reti stese al sole, nè lampare accese nella notte. Si è trasformata in una pianura florida, anche se spoglia di quell’incantesimo arcaico. Peccato che solo gli occhi di chi non può guardare più conosca il meraviglioso spettacolo che il lago regalava al tramonto; la rabbia crudele e la placida bellezza di quelle acque al chiaro di luna. Che emozioni lontane, che nostalgia e che rimpianto per non aver avuto la possibilità di ammirare quel mondo lontano.

A noi non rimane che sognare e giocare con la fantasia, quando i bianchi teloni ricoprono le colture e gonfiati dal vento si muovono ondeggiando sotto il sole come creste spumose, sperando di sostituire una realtà a noi sconosciuta con il ricordo dei nostri antenati.

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Roberta De Santi

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